CARCERE. La mia prima volta…
Non é tempo per gli infallibili e per quelli che “la colpa é sempre di qualcun altro”. I miei supereroi sono gli onesti operai con le borse sotto agli occhi per la fatica quotidiana e il sorriso pronto di chi ha sogni da inseguire e condividere.- Stefano Cugini

carcere salviaAccettare l’invito di Carla per farsi intervistare dalla redazione di “Sosta Forzata”, il giornale della casa circondariale di Piacenza, è stato naturale e spontaneo: già, spontaneo ma non ponderato.

Tra il pensiero di entrare per la prima volta in un carcere per parlare di sé e farlo davvero, qualcosa cambia. I controlli all’ingresso, il rumore dei cancelli. Sembrerà strano, in fondo ero perfettamente cosciente che nel giro di una o due ore avrei rifatto la strada in direzione contraria, eppure il clangore del metallo lo ricordo ancora, a distanza di tempo. Ti resta, così come non dimentichi più il rumore delle lamiere quando hai la sfortuna di fare un incidente in auto e la buona sorte di uscirne tutto intero.

Non sono andato solo: Carla ha accompagnato, oltre a me, Valentina (che già conoscevo, anche se non avevamo mai avuto occasione di parlarci direttamente) e Angela, che è stata una novità, una persona speciale, di quelle che incontri di rado, che ti stimolano pensieri e paragoni dai quali esci con le ossa rotte ma molto più ricco di prima.

Caspita! Non era un film! Ero in un carcere vero, in aula con dei detenuti, disgraziati di cui si sente parlare in tv, alcuni dei tanti “altri” da cui, più o meno consapevolmente, prendiamo le distanze. È stata una sensazione strana.

Ho una bella famiglia, tutti i miei cari per fortuna sono in salute, ho un lavoro e una vita piena; qualcosa manca all’appello dei miei sogni, ma in generale sono un privilegiato.

Coltivo una mente aperta e non sono incline al pregiudizio ma mentre raggiungevo le Novate sentivo quella vocina che si faceva spazio. “Perbacco, in fondo è vero che una prigione non è un albergo: se non volevate finire in una cella, c’è sempre una scelta! Va a finire che glielo dico proprio”.

Anche a questo ho pensato. Poi ho incontrato Ugo, Alex, il capo redattore là in fondo alla mia sinistra e il resto della truppa, mi scuso ma ricordare i nomi non è il mio forte. Tante individualità, non proprio un gruppo, devoti a Carla e al suo carisma sorridente.

Senza un copione preciso, intanto che mi lascio andare al racconto della mia vita da volontario, capisco che non ho capito niente, che il bivio è sempre dietro l’angolo e che non ci finisce solo Totò Riina con le manette ai polsi: che per un delinquente per cui bisognerebbe gettare le chiavi, ci sono cento scelte sbagliate da non rifare, attimi girati male che devono avere un’altra opportunità.

Non che prima non lo sapessi, ma guardarsi negli occhi è un’altra cosa. E allora anche l’erba non tagliata nello spazio aperto ci sta male; entrando neanche l’avevo notata, all’uscita mi infastidisce nella sua trascuratezza, è come un chissenefrega appena fuori dalla finestra.

Che ricordo porto di quel sedici dicembre? Tutti i visi, qualche storia, più che altro accennata o lasciata intendere, curiosità, uno sguardo basso ma molto attento nel banco vicino alla porta d’ingresso. Sento ancora la sensazione di non poter usare maschere senza essere scoperto.

Sono entrato su un piedistallo, anche se non ci pensavo, e invece credo di aver ricevuto più di quello che ho dato. Non penso che ascolterò più allo stesso modo la cronaca parlare di carceri e di condanne.

Se non hai a che fare  con una realtà e il tuo riferimento sono solo i giornali e la tv, dimentichi che dietro alle parole degli altri e alle immagini ci sono sempre e comunque le persone.

Grazie ragazzi, davvero grazie di tutto e un enorme in bocca al lupo per il futuro.

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