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Candidatura resistente

Se vuoi piacere a tutti, non hai capito il punto. O non ci credi abbastanza

L’assemblea di Alternativa per Piacenza ieri sera mi ha scelto come candidato Sindaco della nostra città.

Le 309 firme degli scorsi giorni e gli attestati di stima delle ultime ore mi hanno convinto a non deludere tanta fiducia, che sento crescere e mi onora.

Avverto un enorme senso di responsabilità, che però oggi va a braccetto con l’entusiasmo e la leggerezza dell’essere parte di qualcosa di grande, corale. Soprattutto, giusto.

La politica va cambiata. Un’intera classe dirigente, che da anni si ripropone sempre uguale, ha fallito.

Lo dimostrano gli ultimi eventi.

Mi piace definirla una candidatura resistente, che arriva nel momento più buio a livello locale.

Ancora ci stavamo riprendendo dall’interruzione di un percorso unitario che credevamo scampata ed ecco lo shock di un’inchiesta giudiziaria devastante.

Bene, proprio negli attimi in cui ti sfiora il pensiero che tutto è inutile, quando la via d’uscita più comoda dalla frustrazione di quel che ti accade intorno è la fuga, serviva una risposta: prendere o lasciare.

Noi rilanciamo, insieme, fieri di un progetto che in tempi non sospetti denunciava l’asfissia di percorsi troppo chiusi nelle segreterie di partito e offriva la possibilità concreta di riconnettersi con i bisogni e le speranze dei cittadini.

Alternativa per Piacenza non nasce per lusingare i potenti di questa o quella formazione, ma per far tornare, a chi l’ha persa, la voglia di incidere, con il voto e la partecipazione, sul futuro della propria città.

Il tempo è importante: noi ci siamo, come coalizione di governo, non di testimonianza.

Oggi, a chi si riconosce nel largo campo progressista ed è disorientato da fatti pesanti come macigni, noi diamo una risposta, tendiamo una mano presentando una casa comune.

Coraggiosacoerenteonesta.

Nessun uomo solo al comando, niente capitani, condottieri o assi calati dall’alto. Io da ieri sera sono il rappresentante, la faccia pubblica di una squadra, che si mette a disposizione di chi ha davvero a cuore Piacenza.

Il centrosinistra adesso un candidato, scelto fuori dai caminetti, ce l’ha. Ho fatto una scelta sofferta e scomoda per difendere Alternativa per Piacenza. Perché, oggi, stare con noi, significa provare a dare un senso diverso di comunità.

Con Alternativa per Piacenza, gli unici POTERI FORTI tornano a essere i cittadini.

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(Di)Partito Democratico

Il dovere di ripartire

"Rotta da cambiare e facce da mandare dietro alle quinte. Le tattiche emerse dalle ultime due assemblee nazionali sono uno schiaffo alla militanza autentica. Ultima chiamata”

| Tanti nomi e pochi contenuti

Man mano avanzano i candidati a Segretario nazionale. Nomi, ognuno più o meno vicino o identificativo di qualche area. Contenuti? Si spera arrivino. Ancora una volta però per me si parte dall'alto e non dal basso come si dovrebbe.

A luglio avevo riversato in un post tutta la delusione per come è gestito il Partito Democratico, ipotizzando un metodo per ribaltare la prospettiva e rimettere le scelte davvero in mano alla base. Non per niente parlavo di utopia: chiaramente, niente di quanto sperato è per ora lontanamente all’orizzonte.

Oggi non siamo un partito serio, per quanto le persone serie e appassionate non manchino: avere il coraggio di dirlo è il primo passo.

Sull’ambiente dove vogliamo andare? Cosa pensiamo di clima, fonti rinnovabili, energie alternative? I centri delle nostre città li pedonalizziamo o no? E le periferie le riqualifichiamo? Con quali risorse? La difesa dei diritti e delle libertà fondamentali è una priorità che supera le divisioni (es. ius soli)? E dei doveri, ne parliamo o é tabù? Che welfare abbiamo in testa? Generatività o assistenzialismo? Quali criteri di accesso ai servizi? Quale modello di sanità proponiamo per coniugare universalismo e sostenibilità? Il “pubblico” che ruolo deve avere e in quale misura? Progressivo disimpegno o gestione e coordinamento del sistema? Finanza o produzione? Lavoro, disoccupazione, precariato, sicurezza nelle fabbriche, strategie per il rilancio delle PMI. La burocrazia per noi é un giogo o garanzia di equità? Come contrastiamo la delocalizzazione? Quale approccio al mercato e alla concorrenza di paesi in cui la manodopera è sottopagata? Liberismo, protezionismo o intelligente regolamentazione? Davvero la scuola é così “buona”? E il sistema universitario? Siamo disposti ad affrontare le varie distorsioni o è lesa maestà? Su bullismo, dipendenze, inciviltà diffusa, … repressione o educazione civica? Furbi, approfittatori, amici degli amici: lavoriamo per isolarli (a prescindere dal grado di vicinanza, vera o presunta) o continuiamo a far sentire gli onesti una minoranza di “sfigati”? Quale rapporto con sindacati e rappresentanze varie? Disintermediazione o dialogo? E con gli elettori? C’è altro che non sia democrazia diretta o delega in bianco?

Giustizialisti o garantisti? La certezza della pena si può affrontare o fa troppo destra? Più o meno carceri? Recidive, riparazione, confronto tra rei, vittime e società, creazione di consapevolezza… Fisco: lo teniamo il punto fermo sulla progressività e pensiamo a una vera lotta contro l’evasione, senza condoni, espliciti o mascherati? Rivediamo il centralismo che sta asfissiando gli enti locali, specie quelli virtuosi, penalizzati da perequazioni dissennate? Inclusione o sfruttamento? Lotta tra poveri o nuova società? Immigrati o nuovi cittadini? Siamo disposti ad accettare che non tutti sono disgraziati da accogliere a braccia aperte?

E ancora, Partito liquido o territorialità strutturata?
Post-ideologia o radicamento valoriale? Populisti o popolari? Riformisti seri, turbo capitalisti o vetero qualcosa? Europeisti pro attivi o servi genuflessi?  Leaderismo o collegialità?  Consultazione periodica o chiamata alle armi alla bisogna? Primarie per gli iscritti o aperte a chiunque? Segretario e candidato premier sono figure sovrapponibili?

Merito o clientela? E il ricambio della classe dirigente? Si accetta che in politica passare il testimone non é contro natura, che si vive anche d’altro e che la contendibilità di ruoli e cariche deve essere autentica o si recide il filo della fiducia con i cittadini, quelli che devono mettere insieme il pranzo con la cena, i “repressi e socialmente frustrati” (PGB) Contingenza o prospettiva? Campagna elettorale permanente o artigiani dell’impegno civile?

E si potrebbe continuare. A lungo…

Urgono risposte credibili e azioni coerenti: è forse il tempo di una nuova QUESTIONE MORALE che, per recuperare l’idea originale di Enrico Berlinguer, non guardi solo ai tanti casi di disonestà e illegalità commessi nei partiti, nel mondo delle imprese e nella classe dirigente considerata nel suo complesso, ma contrasti «l’occupazione delle istituzioni da parte dei partiti», secondo il principio che la società esprime interessi del presente, le istituzioni – depositarie dell’interesse generale dello Stato – debbono avere invece una visione più lunga che guarda anche al futuro dei figli e dei nipoti, condividendo che, senza l’autonomia delle istituzioni, la mediazione costante tra presente e futuro viene a mancare, la democrazia si deforma e il populismo invade lo Stato.

Non bei discorsi impacchettati ai convegni, nei mordi e fuggi tra i circoli quando serve qualche comparsata per titar su un po’ di voti, o nei salotti radio-televisivi.

Oggi, leader, leaderini, aspiranti leader, non ci meritano! Non meritano l’impegno, la passione, la pazienza di noi militanti semplici, noi che attacchiamo i manifesti a tarda sera, teniamo aperte le sedi, ci giochiamo la faccia nei consigli comunali di paesi e piccole città. Parolai ormai impantanati nelle trattative al ribasso, cultori dell’attesa che serve all’auto-conservazione dei vostri posti ben pagati da politici di professione. Sentiamo parlare e continuiamo a vedere in TV chi ha svuotato di significato l’idea stessa di spirito di servizio, immolata sull’altare della gestione interessata del potere. Si è persa la sfida della sintesi, facendo degenerare litigiosità e incomprensioni. Stiamo soffocando, stanno togliendo l’ossigeno al bisogno che il Partito ha di ripensare in fretta il suo essere profondo.

Non ci interessa quale capo mostrerà i muscoli la prossima volta. Non è questione di nomi ma di identità e utilità sociale diffusa. Mancano visioni e interpreti capaci di dare esempi positivi.

Ai vertici non può che ambire una classe dirigente altra e mossa da rinnovata credibilità, quella che ormai aridi burocrati, che lo vogliano accettare o no, non hanno più e la cui assenza dovrebbe convincerli a rientrare nei ranghi, a tornare alla militanza autentica, al servizio di chi sarà chiamato per provare a ricostruire una comunità e una cultura dello stare insieme che hanno contributo a distruggere.

Ripartiamo. O non ripartiremo più.

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Utopia democratica

Sveglia!

"La coerenza è virtù importante, che alla lunga paga. Soprattutto, chi ti segue la percepisce. Inutile ostentare certezze che le tue parole smentiscono puntualmente. L'unico a cascarci, forse, sei tu.”

| Ribaltare la prospettiva

C'è tutto il tempo per dimostrare di aver capito la lezione. C'è il tempo per tornare ai contenuti, al dialogo, ai valori che non si svendono. Bisogna volerlo però...

Dopo le (auto)critiche, per chi è stato capace di farle, arriva il momento delle proposte.

Ma dal gruppo dirigente del Partito Democratico, capace di rimandare di mesi il congresso, perché tanto c’è tempo e gli elettori ci aspettano, per ora nulla. Vorrai mica per caso competere per davvero, senza sapere prima chi vincerà?

A noi poveri ultimi, legati a dei valori e sospesi tra l’incertezza che “il contenitore” sappia ancora rappresentarli e il cauto ottimismo nel vedere, dal basso, che in molti ancora credono davvero a una politica “altra”, resta il diritto alla provocazione.

Allora mi piacerebbe dire alla masnada di illuminati strateghi, con il mastice tra le terga e le poltrone romane, di farsi da parte (che tanto sembrano pugili suonati) e aprire a una nuova sfida di metodo che ribalta le posizioni:

  • dimissioni in blocco della direzione, da sostituirsi con una commissione congressuale formata da giovani under 40 indicati dai circoli dei territori, cui si aggiungano alcuni padri fondatori, tra i più rappresentativi e tra chi nel tempo ha dimostrato senso della misura e desiderio di includere (Veltroni, Prodi, tanto per citarne un paio).
  • avvio nei circoli di un percorso di contatto e confronto con la cittadinanza tutta dei rispettivi territori (elettori, simpatizzanti, critici, civismo spontaneo e organizzato, mondo sindacale, terzo settore, …) per avere idee e “polso” su cosa dovrebbe essere, nella logica di una vera rinascita, il Partito Democratico. Bagno di realtà? Si potrebbe vedere così!
  • Sulla base degli spunti dei territori e dei lavori della commissione, avvio del percorso di creazione delle mozioni congressuali, in senso fondativo e per questo senza leadership precostituite ma focalizzate sui contenuti di visione, contingente e prospettica, per rendere chiaro cosa vorrà essere il prossimo PD, come svilupperà la propria democrazia interna, quanto si farà contenibile, quale credibilità saprà darsi in termini di ascolto e coinvolgimento diffusi, quali battaglie vorrà combattere, chi vorrà rappresentare, di quali temi si farà portatore, come intende la questione europea, ambientale, il tema del lavoro, dei diritti, …
  • Elaborazione “dal basso” delle mozioni, partendo da bozze territoriali che via via si confrontano e si portano a sintesi nei livelli intermedi, fino ad arrivare a un congruo numero di proposte a livello nazionale. Basta mozioni calate dall’alto col nome del leader e fatte digerire nei circoli. Perdendo ovunque, ci siamo dati il tempo per riprovare percorsi di dialogo e confronto seri. Approfittiamone.
  • organizzazione di una tornata iniziale di primarie sui contenuti delle mozioni – SENZA indicazioni della leadership.
  • seconda tornata di primarie, con un congruo lasso di tempo per permettere a livello locale il dibattito, gli approfondimenti e le proposte sulla mozione scelta alle primarie, per dare un segretario e una classe dirigente, con un percorso di selezione dal basso verso l’alto, dai livelli locali, provinciali, regionali, per arrivare alla candidatura nazionale.
    Sistema per nulla snello, ma almeno credibile, che è poi il tratto che più ci manca oggi.

Serve una scossa e io amo la complessità, quando la posta è importante. Provocazione? Sciocchezze irrealizzabili? Dopo quello a cui ci hanno abituato negli ultimi periodi, in quanto a dignità, niente può dirsi sconfitto in partenza…

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Si può unire il riformismo piacentino?

Con sincerità credo che al cittadino del dibattito interno sul post-voto che si apre adesso nel PD interessi poco o niente. Roba per addetti ai lavori.

Gli avversari gongolano; tra i nostri, chi ci è (o ci era) vicino, scuote la testa. Già me lo vedo a battersi la fronte sconsolato col palmo della mano. Parole, parole, parole. Utili, per carità. Necessarie, in un momento come questo. Ma che rischiano di essere l’ennesima sbrodolata di commenti, al solito variabili tra un mix di buone intenzioni (già mille altre volte andate deluse) e qualche chilo di sassolini che escono da scarpe troppo strette da troppo tempo.

E poi? Penso che sia questo “e poi” il vero punto.

La mia convinzione è che la sinistra abbia da tempo preso la china della sconfitta perché ha smarrito credibilità, in una deriva sempre più autoreferenziale, dove dietro all’ormai trito concetto dello “spirito di servizio” si fanno scudo generazioni di dirigenti troppo presi a perpetuare le loro rendite di posizione che ad ascoltare sul serio la strada e le sue quotidiane priorità.

Manca il collante autentico, percepito, tra le parole e i fatti. Rari sono gli esempi che trascinano.

Il PD, nonostante tanti risultati ben tradotti in titoli e slogan, esce con le ossa rotte nell’ormai cristallizzata veste del gestore del potere fine a se stesso, più amico delle alte sfere e dei salotti che di quella base del bisogno, della fragilità, dei diritti, del lavoro precario che una volta lo considerava il riferimento naturale. Per molti militanti, appassionati e per una marea di piccoli amministratori di provincia non è di certo così. Ad altri livelli, anche senza generalizzare, purtroppo questa fotografia è  reale.

Il resto della sinistra, che se “Atene piange, Sparta non ride”, se ne sta lì con numeri prossimi al sotto-soglia, chiaramente incapace di far prevalere in un elettorato stanco e frustrato la dimensione della proposta credibile a quella di un universo pluri-frammentato e litigioso, parimenti in mano a consumati e strapagati professionisti della politica, destinato all’irrilevanza sostanziale.

Che fare dunque? Nei momenti dei tanti dubbi, serve qualche certezza, qualche dimostrazione plastica della disponibilità al sacrificio, all’uscita dagli schemi.

In attesa che a Roma si risolvano i massimi sistemi, cominciando (tra le altre cose) a capire il bisogno di produrre una nuova classe dirigente formata, preparata e non eterodiretta, equidistante da “cariatidi” e “carneadi”, a me piacerebbe che a Piacenza il mio partito desse prova di buon senso e determinatezza, con una mano tesa, segno di forza, capacità di analisi critica e maturità.

Si lanci un appello affinché i rappresentanti delle aree riformiste, che fanno del vivere solidale e inclusivo la loro ragion d’essere, animino un confronto permanente e strutturato.

Un mix di politica, civismo, associazionismo, aperto al mondo studentesco e sindacale, al terzo settore, all’ambientalismo, alle realtà culturali, che dia respiro a esperimenti già in cantiere e a disponibilità da sondare, ma sappia osare come mai è stato fatto prima – in assenza di condizioni e consapevolezze che oggi sarebbe saggio far maturare – dandosi il dichiarato obiettivo di arrivare, nel volgere massimo di un anno, a essere il motore e il supporto di un UNICO GRUPPO CONSIGLIARE DEL CENTRO-SINISTRA a Palazzo Mercanti.

Una compagine vocata al medio termine, una scelta ragionata, non nata a freddo o sull’onda emotiva, che rappresenti le istanze di tutti coloro che si riconoscono in questi valori, comprese le forze che ora non hanno eletti in Consiglio.

Un gruppo che possa far vedere che se c’è volontà, la dedizione al bene comune può essere condivisa, ognuno con pari dignità e al riparo da gerarchie precostituite o paternità insensate.

Lo dico con molta umiltà e nessuna ambizione, mettendo sul tavolo una proposta autonoma, da semplice cittadino, su cui chi vorrà potrà dire la sua e lavorare, ognuno con pari dignità e al riparo da gerarchie precostituite o paternità insensate.

Un percorso serio e credibile, non tanto sulle piccole questioni contingenti ma sui temi di reale interesse e prospettiva della città, che dimostri ai piacentini che non vogliono rassegnarsi all’avanzare delle destre un impegno autentico a loro dedicato.

Nessuno sarà chiamato a snaturarsi, né a fare accordi al ribasso. Al contrario, vorrei che si volasse alto, per allargare la visione, non tanto sulle piccole questioni contingenti ma sui temi di interesse e prospettiva della città.

Una tensione a condividere, a cercare un linguaggio il più possibile comune, nuove forme di coinvolgimento popolare, per aiutare a comprendere le questioni più complesse ed essere sicuri di capire bene, di rimando, qual è il pensiero e quali sono i desiderata della nostra gente.

Uno spazio in cui le idee emergano per la forza dei loro contenuti e per il favore che riescono a intercettare e non per il presunto “potere” di chi le propone.

Una rete dove i partiti tornino davvero a essere luogo di ascolto, elaborazione diffusa, trasmissione coerente della volontà popolare.

Possiamo (e dobbiamo) rianimare una politica più credibile, attrattiva, coinvolgente, che una volta per tutte programma a piccoli passi concreti e responsabili, non corre appresso l’altrui agenda e abbandona la costante e immediata ricerca del consenso, dedicata sempre alle pance, raramente ai cuori, mai alle teste.

Gli elettori ci hanno accomunato nella sconfitta. È così impensabile provare a ripartire più uniti, piantando insieme i semi di future vittorie? Per me non esiste utopia.

Solo buona volontà, tanta onestà intellettuale e voglia di mettersi in gioco, con il NOI preferito all’IO che smette di essere un vuoto slogan per diventare un principio assoluto e imprescindibile.

Questo ho detto alla Direzione provinciale, per stare sul pezzo e non perdermi in parole che poi il vento si porta via.

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Asfaltati

Di solito le vittorie hanno molti padri mentre per le sconfitte si tendono a individuare pochi colpevoli. Di solito.

All’interno di un quadro politicamente drammatico per tutta la galassia di sinistra, emerge il dato positivo di un’affluenza alta, che toglie ai soliti analisti l’alibi del peso degli astenuti.

Stavolta non c’é la massa che non ha capito. La massa ha esercitato con consapevolezza il diritto di voto. Su dalla torre, giù dalla torre, che é il destino politico indicato senza equivoci ad almeno tre generazioni di classi dirigenti della mia parte.

La sintonia è finita e ammetterlo non è sciacallaggio a macerie ancora fumanti, ma lettura semplice e dovuta. Qualunque tentativo di restare in sella di chi ha guidato la sinistra tutta a questi risultati – tra cose buone e ottusità di vario genere, tra rancori, ripicche, arroganze autoreferenziali, vorrebbe dire provare a scavare ancora un fondo che è già stato toccato e oltre il quale si è già provato a grattare oltre la decenza.

Se ne sono andate elezioni amministrative in sequenza, milioni di elettori. Se ne sono andati i militanti e gli appassionati. Si sono smarrite le primarie e si é scelta una legge elettorale che toglie al cittadino grande potere di scelta. Si è tornati a votare turandosi il naso, dopo aver provato la fatica di essere convincenti con chi, per stima personale, ti chiedeva consigli elettorali. Se ne è complessivamente andata la credibilità, travolgendo tutto e tutti, comprese le tantissime brave persone che ci credono e si fanno in quattro per dimostrare che la buona politica esiste ancora.

Il 4 marzo ha dimostrato che, a sinistra, nessuno è stato più furbo di altri e nessuno ha rappresentato per i cittadini la risposta giusta.

Si cali ora il sipario con quel po’ di dignità politica che resta e si lasci spazio a chi davvero ha la forza e il disinteressato entusiasmo di (ri)costruire.

Non è nemmeno più il tempo delle colpe da attribuire o delle accuse da lanciare. Occorre concentrarsi sulle cose positive fatte ed essere spietati nell’autocritica dei gravi errori, per passare oltre e disegnare un futuro che rianimi l’orgoglio di una sinistra riformista dialogante e disposta alla sintesi.

Serve una sinistra che torna a cercarsi nelle sue diverse anime, che si riconosce, si rispetta, studia un linguaggio comune con cui riproporsi alla propria gente che ora, sentendosi tradita, guarda altrove.

I vertici attuali hanno già dimostrato di non avere sufficiente umiltà per questa transizione. Non hanno colto gli indizi, sono stati sordi ai sussurri, hanno scrollato le spalle davanti alle urla. Ora che é arrivato lo schiaffone, é tardi e non resta che passare la mano.

Chi rompe, paga. In politica mica sempre é così. Per una volta però é cosa buona che i cocci restino in mano ad altri, chiamati a ricomporli. Adesso, definitivamente, è questione di facce nuove, storie diverse e senza incrostazioni, ricambio generazionale autentico.

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Tertium non datur

Tertium non datur

"Ci siamo risvegliati nel modo più traumatico possibile da anni in cui la politica per il cittadino è arrivata seconda dietro alle mille beghe interne. Abbiamo scelto di essere prigionieri di noi stessi e delle nostre debolezze”

| Il castello è venuto giù

Assumersi la responsabilità di mettersi al servizio di una storia da salvare, che coinvolge migliaia di piacentini nei valori di un centro-sinistra moderno, riformista e progressista, tornando a dare un’identità chiara e riconoscibile. Ricetta semplice ma dannatamente impegnativa.

Il castello del Partito Democratico è crollato. I rattoppi non servono più: bisogna ricostruire. Possibilmente insieme.

Io credo (ancora) ai valori della nascita, non mi rassegno a un’involuzione che si è fatta baratro e mi oppongo a interpretazioni della realtà ormai scollegate dalla base.

Ci siamo risvegliati nel modo più traumatico possibile da anni in cui la politica per il cittadino è arrivata seconda dietro alle mille beghe interne. Abbiamo scelto di essere prigionieri di noi stessi e delle nostre debolezze, abbiamo avuto paura di chiedere aiuto alla nostra gente, di ascoltarne gli umori, di interpretarne le sollecitazioni.

Adesso, o si rigenera, o si sparisce, tertium non datur.

Assumersi la responsabilità di mettersi al servizio di una storia da salvare, che coinvolge migliaia di piacentini nei valori di un centro-sinistra moderno, riformista e progressista, tornando a dare un’identità chiara e riconoscibile, da troppo tempo venuta meno. Ricetta semplice ma dannatamente impegnativa.

L’anno zero ci è imposto dagli elettori e non solo dopo il 25 giugno. La cronaca recente a Piacenza pone il Partito Democratico di fronte a sconfitte in serie, sia sul piano politico che amministrativo, con una provincia ormai trainata da destre più o meno radicali.

Prendiamo atto di dinamiche trite, figlie di un partito ripiegato su se stesso e su fazioni in perenne scontro, abbandonato dagli iscritti e succube di leader non disposti ad accettare che nell’immaginario della nostra base rappresentano ormai il professionismo della politica, intento ad auto perpetuarsi e lontano dal c.d. “mondo reale”. Facciamo mea culpa per aver sacrificato, sull’altare di queste logiche distorte, candidati e amministrazioni, tra cui Fiorenzuola e Piacenza, con l’onta di una disfatta dalla portata senza precedenti proprio nel capoluogo. Pareva esserci assuefazione e su questo c’è chi ha pensato di poter vivere di rendita.  Il voto ha dimostrato invece rigetto.

Un partito che sa solo litigare è debole per definizione. Non aiuta i suoi eletti e amministratori, non si cura dei suoi iscritti e militanti.

L’errore più grave oggi sarebbe tanto auto-assolversi, quanto andare all’ennesima resa dei conti. Tanto dirottare colpe, quanto sminuire ricorrendo a elementi ineludibili ma parziali come la scissione, il trend nazionale e l’elevato astensionismo, che al contrario devono stimolare in tutti riflessioni ancora più pronte. Se continueremo a soddisfarci della narrazione che si fa al nostro interno, sempre più piccolo e deluso, si basi questa su prove di forza, conte o flebili equilibri dettati dall’interesse del momento, possiamo star certi che il declino sarà inesorabile e neppure troppo lento. Al contrario, se torneremo a elaborare politiche reali e a condividere posizioni concrete con i cittadini, nessun nuovo traguardo sarà fuori dalla nostra portata, primo tra tutti quello di tornare alla guida della città già nel 2022.

Oggi abbiamo consegnato Piacenza alla destra per demeriti nostri. Ci siamo regalati cinque anni, per domandarci ogni giorno come tornare ad appassionare i piacentini, a convincerli di essere soggetto coerente e credibile. È questione di qualità dell’offerta politica, d’identità precisa e dell’etica di chi vuol rappresentare comunità di persone.

Discontinuità è la parola simbolo di questi ultimi 6 mesi. Ora l’esigenza si sente ancora più forte.

I segretari, provinciale e cittadino, si sono dimessi con un gesto di apprezzabile dignità politica, ma non si può pensare che bastino un paio di “teste” per sistemare tutto, perché il punto non è quello.

Siamo alla prova del nove, dobbiamo dimostrare e dimostrarci che la strada nuova è intrapresa con convinzione e non per mestiere. Serve voltare pagina, prima di tutto con un nuovo metodo, per farsi carico del rilancio e del massimo coinvolgimento possibile di tutti i militanti, degli amministratori, di chi ha incarichi politici, dei cittadini e delle forze che si riconoscono nei valori della nostra tradizione. I giovani si stancano di attaccare manifesti: devono diventare protagonisti.

Dobbiamo tornare a essere uno spazio di elaborazione permanente di sinistra, non un incubatore di consenso elettorale alla bisogna.

Il Partito Democratico di Piacenza non deve tornare TRA la gente, proposizione stanca e che sottende ancora una volta un “noi” e un “loro” ma DELLA gente, per ribadire autentico spirito di servizio e comunanza di intenti.