ASILI NIDO. Sul bando educatrici ci credo e vado avanti
In questi giorni i sindacati e alcuni consiglieri comunali si sono espressi molto negativamente sulle modalità del concorso per l’assunzione a tempo indeterminato di nove educatrici di asili nido.
La loro contrarietà alla scelta che ho sostenuto per conto dell’amministrazione è netta, a tratti ruvida, datata. La distanza è totale: dalla mancata stabilizzazione integrale delle precarie storiche, alla soglia dei 40 anni prevista dal regolamento per accedere al bando, fino al presunto sperpero di risorse pubbliche per la formazione e l’aggiornamento di personale che non potrà entrare in ruolo in pianta stabile.
Il tema è complesso e, impattando sulla vita lavorativa di molte persone, merita di essere trattato con il massimo rispetto. Da tutti però, perché a passare per quello che è “contro” qualcuno o tratta le questioni a cuor leggero, non ci sto.
Arrivano momenti in cui la passione del proprio impegno prende il sopravvento sulla diplomazia istituzionale che (forse) sarebbe da preferire.
Essere amministratori significa prendere delle decisioni e assumersene le responsabilità. Da questo punto di vista, vado avanti con la coscienza serena di chi crede di aver deciso per il meglio. Chi la pensa diversamente non mi ha convinto del contrario: sicuro, non nella forma; di fatto nemmeno nella sostanza.
Ma approfondiamo un pochino la vexata quaestio.
Nel 2008/2009 si è molto ridimensionato il fenomeno del precariato di lungo periodo grazie all’assunzione di 28 precarie “storiche”. Almeno in teoria, perchè questo contingente ha perso in breve più del 30% dei suoi effettivi, in seguito alle domande di inidoneità fisica presentate dopo l’acquisizione del tempo indeterminato e al conseguente distaccamento in mansioni altre rispetto al contatto diretto coi bambini.
Oggi è ora di programmare il futuro dei servizi e di abbassare l’età media del personale educatore, superiore ai 50 anni. Per tenere alta la quota di posti in gestione diretta (educatrici dipendenti del Comune di Piacenza), dobbiamo dotarci di una pianta organica con la più lunga aspettativa possibile di permanenza in servizio attivo.
Da queste considerazioni è nato un bando di concorso pubblico (il primo dopo tanti anni) che, pur riconoscendo la garanzia di continuità per una quota riservata di stabilizzazione, mira a dare una speranza di lavoro pubblico alle nuove generazioni (a Piacenza abbiamo un liceo socio-psico-pedagogico e un corso di laurea in scienze della formazione) e a lanciare un messaggio alle famiglie, a fornire la prova tangibile dell’investimento sull’educazione dei nostri piccoli cittadini.
Tra l’altro, giova far notare ai detrattori più distratti che così impostato, il concorso “apre” a un universo di precarie altrimenti escluso.
La stabilizzazione tanto amata dai sindacati e da qualche collega consigliere richiede requisiti specifici di anzianità, che sono in possesso di “sole” 17 persone. L’attuale graduatoria di precarie che lavorano o hanno lavorato per il Comune di Piacenza conta 143 unità. Ciò significa che se avessimo assecondato certe pressioni avremmo escluso decine e decine di lavoratrici e lavoratori che oggi invece possono giocarsi le loro chance.
A chi dice poi che quattro posti di riserva sui nove totali sono pochi, suggerisco di esercitarsi nella lettura dei numeri, perché sostiene il contrario dell’evidenza: i 4 posti riservati alla stabilizzazione sono nelle disponibilità di 17 concorrenti (circa il 25%), mentre i 5 “liberi” sono contendibili – ad oggi – da oltre 200 persone (2.5%).
Ne deriva che le possibilità a disposizione delle operatrici precarie in possesso di requisiti per aggiudicarsi uno dei posti sono dieci volte superiori (per ora) alla possibilità di chi compete per i restanti cinque.
Si sta facendo un gran dire del limite di età imposto dal bando. Comprendo bene la frustrazione di chi resta escluso, ma l’esistenza di una soglia deriva dalla natura di lavoro usurante attribuita alle caratteristiche di servizio.
Il lavoro dell’educatore, come tutte le attività di cura, richiede infatti una specifica competenza professionale unita a una forte motivazione e a un costante impegno fisico.
Nell’assolvere le proprie mansioni, in particolare quelle legate all’accudimento del bambino piccolo, l’educatore deve dispiegare una buona dose di energia, attenzione e sensibilità: tutte capacità che comportano un coinvolgimento globale.
Non lo dico io; è stabilito dalle disposizioni dei contratti nazionali e dalla legislazione in vigore sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro. Prova ne sia che le OO.SS., le stesse che vorrebbero la modifica del regolamento per eliminare la soglia dei 40 anni, a ogni confronto chiedono percorsi di uscita anticipati e il ricollocamento in altra mansione.
Tra l’altro, il limite di età vale solo per le assunzioni a tempo indeterminato. Per il ricorso a personale con altri inquadramenti non esiste limite, motivo per cui non è vero che ad alcune persone sarà negata la possibilità di ulteriori collaborazioni in seno ai nidi comunali.
Veniamo poi alla vera “arrampicata sugli specchi“. Per quanto riguarda l’investimento di risorse pubbliche in attività di formazione, aggiornamento, progettazione, riteniamo che si tratti di un dovere in capo a ogni ente virtuoso, che preserva il livello educativo e al tempo stesso costituisce un patrimonio dei singoli educatori.
Chi parla di sprechi o è ignorante, o è in malafede. Il Comune in questi anni, grazie alla formazione offerta, ha strutturato un servizio di qualità che è da tutti riconosciuto; a loro volta, le collaboratrici e i collaboratori, per quanto precari, hanno goduto di percorsi di accrescimento delle loro competenze, che rappresentano un valore aggiunto spendibile in futuro in termini di professionalità acquisita.
Mi assumo tutto il carico del percorso intrapreso dall’amministrazione. Ci metto la faccia, senza certezze assolute e conscio che la perfezione non è di questo mondo.
Mi piacerebbe solo maggiore serenità nelle analisi da parte di chi rappresenta categorie di persone; uno sguardo più ampio, ancorato alla realtà dei tempi e delle situazioni contingenti. È chiedere troppo?
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