Guidare il cambiamento
Futuro in salute

"Abbiamo il dovere di guidare il cambiamento. Siamo chiamati a fare scelte che connoteranno i prossimi 20 anni, non a subirle”

| Numeri e buon senso
Senza i numeri, i chirurghi migliori se ne vanno. Senza i numeri, i chirurghi migliori non arrivano. Poi, ocus dai luoghi di cura ai percorsi di cura, perché oggi la principale barriera ai primi non è la distanza ma la complessità del percorso.
Abbiamo il dovere di guidare il cambiamento. Siamo chiamati a fare scelte che connoteranno i prossimi 20 anni, non a subirle.
I tecnici sono indispensabili ma la politica non può permettersi deleghe in bianco. Siamo a un punto di svolta e dobbiamo meritarci il privilegio che ci é concesso di avere un ruolo in questa partita.
Non é tempo per chi cerca di cadere sempre in piedi: le sfide si affrontano a viso aperto. É un principio generale, valido in sanità ma non solo. Da applicare a chi amministra, ma pure ai sindacati, chiamati anche loro a ripensarsi e a riformarsi, specie in alcune espressioni ancora troppo legate a posizioni ormai vecchie.
Dobbiamo recuperare tutta la nobiltà insita nella fatica di affrontare situazioni complesse. Nell’era dei tweet e delle semplificazioni, ci siamo disabituati a cogliere il valore dell’approfondimento.
Al tempo dei colletti bianchi, abbiamo perso l’autentico spirito operaio, di chi sa cosa vuol dire ottenere i risultati sudando e sporcandosi le mani.
Io la mia idea sul nuovo ospedale l’ho già espressa da un po’, come dimostra questa intervista al Corriere Padano di un mese fa:
- Assessore Cugini, che cos’è “Futuro in salute”, uno slogan?
Futuro in salute, il percorso partecipato avviato dall’Ausl con i Sindaci e presentato in Consiglio comunale è serio, fatto di dati, chiavi di lettura, confronto. Il tema della sanità è centrale e l’errore più grande che si potrebbe fare oggi è quello di affrontarlo, ancora una volta, con il freno a mano tirato e pronti a battaglie di retroguardia. La domanda che ognuno dovrebbe porsi è semplice: ‘preferisco avere l’ospedale vicino a casa o essere curato bene?’ Perché poi, alla fine, di questo si parla quando si pensa a rivedere gli assetti generali della presa in carico di chi ha bisogno di essere curato. Chi non si impegna a dare questa risposta, guarda il dito e non la luna. Ciò detto, in un contesto complicatissimo, bisogna estrapolare alcune pietre angolari. La prima è la cosiddetta clinical competence, che impatta sulla sicurezza degli interventi, sulla specializzazione, sulla casistica minima necessaria perché un professionista possa sviluppare un’esperienza sufficiente a garantire la sua competenza. Il riordino della rete ospedaliera non può prescindere da queste valutazioni.
- Ma in ciò che dice che cosa realmente rientra nel quotidiano discorso-sanità, quello che interessa i cittadini?
Direi tutto: medici, ospedali, case della salute, strutture intermedie, domiciliarità, lungodegenze. Soprattutto ci sta una nuova lettura dell’integrazione tra sociale e sanitario. Sia da un punto di vista concettuale che organizzativo e di risorse economiche. Su questo il dibattito necessita di un’accelerazione.
- Che cosa manca, a Piacenza, per avere una sanità di eccellenza, per ricorrere a una espressione (anche da noi) abusata?
Senza i numeri, i chirurghi migliori se ne vanno. Senza i numeri, i chirurghi migliori non arrivano. Poi sarebbe buona cosa ampliare il focus dai luoghi di cura ai percorsi di cura, perché oggi la principale barriera ai primi non è la distanza ma la complessità del percorso. Aggiungiamo, inoltre, la necessità di passaggio dalla medicina di attesa alla medicina di iniziativa e il quadro comincia a prendere davvero forma. Dire di ‘iniziativa’ significa entrare nel campo della prevenzione: le persone vanno intercettate e inserite nei percorsi. Questione di salute dei singoli e di spese collettive, che nel caso di trattamento in fase acuta lievitano a livello esponenziale. Non possiamo poi non parlare di presìdi e territorio, che non possono essere alternative rispetto all’offerta, ma nodi di un percorso complesso che accompagna la persona dal controllo preventivo alla fase post acuta, fino alla cronicizzazione.
- Assessore Cugini, dica: è realistica l’ipotesi di un nuovo ospedale a Piacenza? Non pochi ricordano l’iter laborioso, e laborioso è un eufemismo, che ha accompagnato il completamento del Polichirurgico.
Sul tema è giusto, secondo me, cominciare a dibattere oggi, con una prospettiva che considera un orizzonte di 8/10 anni. Una struttura in centro storico, come quella attuale, è fuori dal tempo, con un nucleo antico che costa centinaia di migliaia di euro all’anno solo da un punto di vista energetico. Soldi che devono essere diversamente impegnati: in tecnologia, medicinali, dispositivi, ricerca. Possibile, con uno scenario del genere, che ci siano ancora i cultori del ‘NO’ buono per tutte le stagioni? Giustificare con i milioni/miliardi spesi nel vecchio ospedale la contrarietà a ragionare su un futuro nuovo impianto è semplicemente ridicolo. Certo, bisogna prima capire bene come si intenderà recuperare l’area attuale, una volta dismessa (ma vogliamo pensare che sfida avvincente sarebbe?). Di sicuro servono garanzie preventive sulla quota di fabbisogno finanziario che la Regione si impegnerà a coprire e sul fatto che il percorso di realizzazione della nuova struttura non influenzi negativamente gli investimenti sul presidio esistente (e qui ci giochiamo la nostra abilità di smascherare eventuali bluff). C’è tempo e ci sono le teste per farlo. - Da assessore non si è accorto, anche in tema di sanità, di rappresentare ‘l’ultima provincia’ di una regione opulenta e tuttavia distratta nei nostri confronti?
Senta, accettiamo la scommessa o ci lamentiamo, ancora e sempre, di essere la povera Cenerentola, anche quando finalmente ci hanno invitato con tutti gli onori al ballo? Sta a noi dimostrare che la proposta non sarà una favola: la politica non deve mollare la presa su questi temi. Solo presidiandoli con visione, competenza e autorevolezza garantiremo ai nostri cittadini un futuro davvero in salute.

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