ASILI NIDO: il mio contributo al Coordinamento pedagogico territoriale di Piacenza
Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere.- Henry David Thoreau

freepik bambini4Il coordinamento pedagogico territoriale di Piacenza (CPT) è una rete che riunisce i coordinatori pedagogici dei servizi educativi zero-tre anni comunali, in convenzione e privati di tutta la provincia.

Alla luce delle trasformazioni sociali in atto nei servizi all’infanzia e delle novità di legge, con particolare riferimento alla 107/2015, il coordinamento ha deciso di offrire un contributo alla riflessione, attraverso la pubblicazione di un volume scritto a più mani con l’obiettivo di raccontare il percorso pedagogico compiuto e accogliere il punto di vista di tecnici e politici sul sistema educativo.

Quello che segue è il mio contributo, come al solito scritto cercando di non avere filtri…

Che la realtà in cui ci troviamo a vivere oggi sia connotata da un’evoluzione rapida e ricca d’incognite è un dato acquisito. L’attualità ci presenta il conto dell’assuefazione quasi acritica alla rete virtuale e ai social network, dell’isolamento progressivo e del dilagante analfabetismo di ritorno correlati, della tenuta sociale più che instabile di fronte a fenomeni migratori costanti e invasivi, che implicano ripensamenti culturali, normativi, organizzativi mai così complessi. Guerre, carestie, esodi, crisi del (turbo)capitalismo che ha messo in ginocchio una generazione: in poche parole, il mondo come l’abbiamo conosciuto noi quarantenni, quando eravamo bambini, non esiste più. Mi sembra evidente che le risposte che stiamo provando a dare, a fronte di domande che non sempre ci poniamo nel modo giusto, siano per lo più contingenti. Serve qualcosa di più strutturale, che consolidi la lettura della nuova realtà in un’attitudine. Da queste premesse partono le considerazioni sul tema dell’educazione zero-sei.

Investire sui bambini è una polizza assicurativa a lunga scadenza. È un mandato vero e proprio, una strategia la cui produttività sarà misurabile nel grado di consapevolezza della società prossima ventura, su quanto questa sarà a proprio agio con i nuovi mutati contesti. L’obiettivo è creare le condizioni affinché i bambini di oggi diventino gli adulti che affronteranno il domani con i giusti strumenti di decodifica: dinamici, resilienti, multiculturali e poliglotti. In questo percorso il ruolo di governance istituzionale è primario: semplice da individuare, molto più complesso da interpretare. Ci sono fili da riannodare, paradigmi da ripensare e sintesi da trovare, scardinando anche steccati ideologici che oggi hanno perso ragion d’essere. In altri termini, spetta ai vari protagonisti del territorio, mi limito al locale, pianificare un modello coerente, uniforme e massimamente diffuso, facendosi poi interpreti presso i superiori livelli di governo, della messa in circolo delle buone prassi per confrontarle con altre e testarne efficienza, efficacia e riproducibilità su più ampia scala. C’è bisogno di tutti, pubblico, terzo settore, sistema universitario, famiglie. Servono motivazioni forti e una guida ferma, compito cui è giusto si faccia carico, con fiero protagonismo, l’Ente locale di riferimento – il Comune capoluogo per quanto ci riguarda, chiamato a coordinare e dare stabile impulso alle potenzialità di ogni nodo della rete.

Da politico/amministratore, con quel che basta di umiltà per non improvvisarmi tecnico esperto, posso permettermi una suggestione. Penso allora alla “dimensione del cortile”, al giorno d’oggi poco più che un ricordo. Chi ne ha ancora memoria e nostalgia non potrà che concordare su luoghi di crescita e formazione, spazi di vita reale in provetta. Nei cortili le età si mescolavano e s’incontravano. Pur essendo la contiguità anagrafica un aggregatore naturale, era chiara la presenza di “più grandi” e “più piccoli”, chiamati a una sorta di autoregolamentazione forzata. Erano infatti l’incontro e la convivenza tra dissimili a disegnare equilibri dinamici e a dare stabilità al sistema. A differenza della strada, il cortile, pur connotato dall’apprendimento “in esterno”, era luogo protetto e supervisionato, con gli occhi più o meno discreti degli adulti sempre a tiro.

Mutatis mutandis credo che un primo punto a favore di un unico progetto pedagogicoche abbracci l’intera fascia della prima infanzia, stia proprio nella ricchezza che deriva dal co-protagonismo e dall’interazione di età diverse, con le dinamiche di ruolo che si creano spontanee. Idem per quanto riguarda il valore del divertimento all’aperto, che nel Nord Europa entra a pieno titolo nella programmazione pedagogica. Altro elemento forte è la c.d. democraticità. Il cortile era luogo inclusivo e accogliente, dove bastava accettare le regole del gioco per farne parte, senza doversi preoccupare della provenienza o del tenore di vita. Al pari, ci serve un meccanismo che intercetti sempre più gli esclusi e gli inclusi a intermittenza. Che si tratti di fragilità economica, di marginalità sociale o d’impossibilità a conciliare i tempi di vita e di lavoro della famiglia, abbiamo il dovere di tendere all’universalismo e dare per questo risposte sempre più flessibili e personalizzate.

I bambini hanno bisogno di cogliere la ricchezza insita nelle molteplici forme di diversità e per poterlo fare, devono essere messi nelle condizioni di testarle. Il tema di dove porre l’asticella per contemperare duttilità del servizio e qualità della proposta educativa è molto delicato. Ne è parte l’accreditamento dei servizi, verso il quale condivido la preoccupazione di non generare percorsi ingessati, sulla falsariga di quanto è accaduto in ambito socio-sanitario, mentre sono molto scettico sui pericoli di un’eccessiva de-regolamentazione e di troppa autonomia di valutazione degli standard, pur nel dovuto rispetto delle linee guida della Regione. Se da un lato siamo chiamati a capire che sacrificare una quota spinta di personalizzazione per cristallizzare gli elevati standard educativi raggiunti ci spingerebbe oggi a un’offerta impossibile da cogliere per molti e di conseguenza minoritaria, non possiamo che essere, dall’altro, molto chiari e consapevoli nel non voler correre i rischi di snaturare l’impianto formativo, scivolando verso formule di custodia temporanea che avvicinerebbero troppo le nostre eccellenze al modello dei baby parking.

La vera scommessa sta nel ripensare e ripensarsi e qui il ruolo del coordinamento pedagogico, nel quale andrebbe rimediata l’assenza delle rappresentanze della scuola dell’infanzia, emerge in tutta la sua pregnanza, per garantire qualità e al tempo stesso mettere in circolo competenze, esperienze, informazioni tra i vari attori pubblici e privati. Intanto che ci siamo, potremmo anche cogliere l’occasione per superare, una volta per tutte, la dicotomia pubblico/privato, che resiste, in taluni, tra letture politiche anacronistiche e mal celato desiderio di rendere residuale l’intervento pubblico. Si tratta di una strumentalizzazione dannosa e dispendiosa, in termini di tempo ed energie, che emerge a ogni piè sospinto in dibattiti sterili, dove spesso sono coinvolte le famiglie perché prendano posizioni “ingenue”.

Proprio il coordinamento pedagogico dimostra quanto virtuoso sia l’agire il sistema integrato dei servizi, per un’offerta di livello da rivolgere a una platea sempre più ampia di persone. Eccolo, il combinato disposto qualità/quantità, che passa dalla responsabilità dell’Ente locale, titolare di una committenza pronta connessa a quote di gestione diretta tali da non far perdere la consapevolezza necessaria per regolare il sistema.

Penso a un equilibrio variabile in base alla domanda, alle risorse, alla capacità di sperimentare nuove frontiere, forte della fiducia reciproca in una partnership testata, certificata e da valorizzare con il privato sociale. Concepire la contrapposizione laddove è richiesta l’integrazione è una scelta perdente che non possiamo permetterci, nell’interesse delle famiglie utenti, la cui soddisfazione deve restare il nostro unico punto di riferimento.

Nell’asilo internazionale che vedrà presto la luce in via Sbolli proviamo a trasferire tutte queste convinzioni. Dall’uniformità di progetto sulla fascia 1 – 6 anni, alla compresenza di italiano e inglese, passando per la mutuata esperienza nordeuropea circa l’allestimento e l’utilizzo degli spazi esterni, fino a una sviluppata flessibilità organizzativa, per arrivare alla definizione di una graduatoria sperimentale in cui il criterio economico entri in gioco solo in sede di calcolo della retta e non conti nel definire la priorità d’accesso, che saranno invece determinate esclusivamente dalle condizioni occupazionali e famigliari.

È infatti impossibile ignorare l’esistenza di famiglie penalizzate nell’accesso dagli attuali parametri, ancora collegati al reddito, ma con altrettanto reali esigenze di presa in carico dei figli nei tradizionali orari lavorativi. Non solo: ritengo importante politicamente il messaggio che abbiamo voluto dare, una volta optato per la gestione diretta del nuovo polo, prevedendo il convenzionamento “compensativo” di un’altra struttura, onde evitare letture fuorvianti e mantenere un equilibrio coerente tra tipologie di gestione sul territorio. Se i patti sono chiari e condivisi e i soggetti si fidano tra loro, l’intero sistema trarrà un costante giovamento dal lavoro di rete.

 

Ti interessa saperne di più? Iscriviti alla NEWSLETTER settimanale.

[CONTACT_FORM_TO_EMAIL id=”1″]