PORTA GALERA: “Il libro giusto”, la prima fiera di editoria indipendente a Piacenza
Nel fine settimana Piacenza sarà teatro della sua prima fiera dell’editoria indipendente.
Grandi nomi, Gherardo Colombo, Gotti Tedeschi, Colagrande, Fontana e altri, per la nuova intuizione di quella fucina di idee “dal basso” che é la Fabbrica dei grilli di via Roma.
L’ennesima dichiarazione d’amore (che in tanti farebbero bene a far propria) alla città e a un quartiere in particolare.
“Il libro giusto” é un bel titolo: rimanda al dolce tarlo, alla domanda senza risposta che il lettore sempre si fa. Perché il libro giusto non esiste, è solo un compagno di viaggio incontrato per caso, che all’atto di lasciarti, t’incoraggia a cercare ancora: altri viaggiatori, altri mentori, altri “giusti” tra i giusti.
È un apritisesamo per vivere la magia dei mille mondi che solo chi legge fa suoi, disponendone e perdendosi a un tutt’uno. A domanda, ho risposto che “Il Re, il Saggio e il Buffone”, di Shafique Keshavjee, è uno dei miei giusti, letto per la prima volta nell’età della frenetica ricerca dei tuoi zenit e nadir.
Nella sua semplicità è un testo ribelle, che interroga, leggero come sarebbe piaciuto a Calvino. Oggi, che per mandato soffro ogni giorno le storture del pregiudizio e dell’egoismo, l’enorme difficoltà di dare senso a una nuova genetica del corpo sociale, il “gran torneo delle religioni” pensato vent’anni fa da questo teologo afro-elvetico mi torna alla mente assai spesso.
Mettere a nudo i paradossi è compito di chi fa le rivoluzioni. Le religioni orientano le nostre vite. Indicano rette vie, predicano comunione e fratellanza, ma pure prestano il fianco a chi ne abusa, per segnare distanze e ghetti mentali. Si fanno oltraggiare da chi le invoca per uccidere in nome di un Dio, o solo per tradire la fiducia dei più semplici.
Siamo in crisi di autentica pietās, stia essa in uno sguardo, nel gesto o nella parola semplice, che elevano le diverse idee di fede con atti di carità ed educazione. Il mistero dell’esistenza, invece che farci cercare nel prossimo un sostegno alla nostra pochezza individuale, genera mostruose tassonomie: froci, clandestini, accattoni, galeotti, puttane, zingari.
Grezze etichette con cui scaviamo solchi e puntiamo dita. Tentati a vomitare odio e (pre)giudizi, bolliamo di buonismo la complessità e il piacere del confronto. Siamo ormai indulgenti su tutto fuorché sulle differenze e i bisogni, che infastidiscono le nostre poche certezze piccolo-borghesi.
La bestemmia sta proprio in questa ricerca di purezza salvifica, spesso nel nome di Dio e delle sue molte forme, su strade che nessun Dio predica, che ignorano e ne smentiscono i precetti. Dov’é la coerenza? Con i grandi temi delle migrazioni (di cui dovremmo essere esperti per averle sperimentate sulla nostra pelle d’italiani), delle minoranze etniche e dell’inevitabile impegno alla convivenza, delle fragilità che non ci fanno più separare di netto, a noi ceto medio, “la casa dei mercanti, alta su quel monte”, da quella “dei servi, in basso dopo il ponte” (cit. Augusto Daolio), ripensare all’importanza di un comunitario appello all’apertura verso ciò che percepiamo come diverso è un dovere.
Abdennour Bidar, nella sua lettera aperta al mondo musulmano, dopo gli attentati di Parigi, invita le società ormai secolarizzate a ricordare che “il futuro passerà non soltanto dalla soluzione della crisi finanziaria ed economica, ma di quella spirituale, che attraversa tutta la nostra umanità”.
È un ammonimento forte, colto con molto anticipo da Keshavjee, bravo a mostrare la dignità di ogni confessione e lo spazio di dialogo insito in tutti i principi ispiratori. Allora, visto che di Re non sappiamo che farcene e che i buffoni sono dappertutto, non ci resta che trovare il saggio in ognuno di noi, quello che conosce la tolleranza e l’autocritica, premessa – e non opzione – a ogni giudizio che siamo sempre così pronti a dare.
Buona fiera de “Il libro giusto”.
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