SOCIETA’: tra istruzione, solidarietà e ordinanze anti bivacco
Mi è stata chiesta una riflessione sul modo di vivere gli spazi, sulla la socialità di un luogo e su come si possa favorirla. Per la Treccani la socialità è il modo di raggrupparsi degli individui di una data specie e il suo grado dipende dalle condizioni locali, più o meno favorevoli.
Penso a Porta Galera e alla sua multiculturalità, eco di una genetica sociale in costante ridefinizione, ai bar e marciapiedi quali luoghi dello stare insieme. Prendiamo il Caffè طفل di via Capra, dove la bevuta in compagnia è uso, folklore che toglie tempo alla famiglia e lascia sole le donne in casa, a occuparsi di faccende e bambini. Giudicare è esercizio soggettivo.
Il dato di fatto, purtroppo, è che la birra con gli amici di rado resta una sola. Le idee si confondono al crescere dei bicchieri, le chiacchiere diventano punti di reputazione, urla e insulti strumenti per opporre verità inconciliabili. Non di rado dalle parole si passa ai fatti per motivi futili, sia una partita persa a domino, una bicicletta contesa, o l’onore di un gruppo, presupposto per dimostrare chi è migliore di chi.
Mettiamoci poi l’umanità barcollante che scambia angoli delle vie per orinatoi, incutendo il timore dell’ebbro in chi la incontra ubriaca e vociante per strada, o il richiamo della natura a poco prezzo, soddisfatto con chi, nei dintorni, “l’amore se lo sceglie per professione”. Quadro desolante, cui aggiungere le mogli, chiamate ad accogliere, a tarda sera o a notte fonda, la brutta copia etilica dei loro compagni. Pare dura immaginare una società che si sviluppa su questi presupposti, vero?
Eppure, basta tornare a quando la zona di via Capra era “al Canton di Stall”, cambiare “طفل” con “bambino”, il suo omonimo italiano, e al posto di un locale che nemmeno esiste con quel nome, immaginare l’Ostaria tanto cara ai nostri nonni, dove ci si accapigliava per un carico a briscola e sbronzava con qualche scudlein ad vèi rus (mica birre e domino!) – ed ecco il biasimo di adesso diventare nostalgia d’allora.
Confrontando tempi, abitudini, protagonisti, le analogie si sprecano: poca scolarizzazione, basso reddito, molta strada da fare sul rispetto della condizione femminile. Era un’epoca, pure quella, in cui regolare a cazzotti i conti tra i piasintein dal sass e i furaster era normale, anche se il ricordo lo rende meno volgare delle odierne risse tra magrebini, albanesi o sudamericani.
Rimessi al loro posto i particolari, il resto fa parte della nostra storia. Potere della memoria, che annacqua derive simili a ciò che ora condanna senza appello, persino compiaciuta di un campanilismo che, quando il mondo sembrava risolversi in un quartiere, muoveva la stessa prontezza di oggi nel vendicare torti e regolare conti in un bar o in mezzo a una strada.
Il punto di osservazione non è cosa da poco. Dalla prospettiva può dipendere il nostro modo di considerare vizi e virtù di un agire, la nostra disposizione al pregiudizio o a stare nelle contraddizioni per uscirne insieme.
Mal comune mezzo gaudio, quindi? Neanche per idea. Da un grande pensatore del Novecento l’invito a respingere la politica del “tanto peggio, tanto meglio”, che è solo “un progressivo adattamento a un processo regressivo”.
La ricetta, per quella “forza attiva, concorrente a quella che passivamente si adatta alla fatalità”, rimanda, come allora, a ciò che splende nell’idea di socialità: sapere, agire solidale, confronto. Se si è davvero civili, i reati si perseguono, ma ignoranza e maleducazione si affrontano.
Facile parlare di ruspe con la bava alla bocca. Altra cosa è cercare, attraverso la cultura e il sostegno reciproco, di gettare il seme del riscatto sociale negli ultimi, coltivare conoscenze, consapevolezza, dignità.
Formare persone libere, partendo dai più piccoli, con gli strumenti per capire che esiste una scelta diversa dagli stili di vita nei quali sono soliti crescere. Viva dunque la colletta per i libri di testo ai bambini poveri! A lungo termine efficace come nessuna ordinanza anti bivacco potrà mai essere, nell’eterna distanza tra chi formula visioni di prospettiva e il fiato corto di chi cerca risposte guardandosi l’ombelico.
fotografia: archivio Gianni Croce – Piacenza
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