PROFUGHI: lettera aperta a Matteo Renzi
Caro Matteo,
scuserai la mancanza della formalità dovuta al capo del Governo, ma qui siamo in prima linea, con le maniche tirate su e gli occhi pesti per il poco sonno.
I nuovi sbarchi sulle nostre coste hanno costretto il ministero dell’interno a smistare nelle provincie d’Italia un nuovo carico di miseria e disperazione. Non ti scomodo perché qui a Piacenza non sappiamo cosa fare. La mia non è una richiesta di aiuto. Anzi, chi ti scrive è un positivo, un servitore della Pubblica amministrazione animato di quell’ottimismo ignorante che non sente ragione e cerca la luce che abbaglia in fondo al tunnel, anche se ‘sta caspita di galleria sembra non voler finire mai.
A Piacenza non ci stiamo a rimandare i problemi, a scaricarli solo su qualcun altro. Noi facciamo la nostra parte: col poco che abbiamo e con tutta la volontà di cui siamo capaci.
Siamo orgogliosi del nostro impegno e non abbiamo paura a dire le cose in modo chiaro, anche quando suonano impopolari.
Quando faremo davvero l’Europa? Ecco il motivo della lettera: farti questa domanda.
Vedi Matteo, è ora di far capire a quei freddi burocrati che stavolta dietro alla lavagna devono andarci loro. Nessun Paese può e deve sentirsi sollevato dalla sua quota di responsabilità in tema di immigrazione.
Perché la guerra tra poveri che la loro spocchiosa indifferenza rischia di portare sul nostro territorio è ipotesi tutt’altro che remota. Non è solo una questione di soldi, ma di sistema, di vera cultura comunitaria.
L’Italia non è un Paese razzista, ma stanco e costretto a raschiare il barile. Condizioni non ideali per ragionare in modo lucido. Terreno fertile per le sentenze senza impegno e responsabilità di populisti e xenofobi. Quando anche la signora Maria si scopre insofferente e crede di essere sempre in coda alla fila, significa che siamo vicini al collasso.
Guai ad arrendersi. È nostro compito far capire che non solo è possibile, ma doveroso tenere insieme concetti come equità sociale e solidarietà umana. Abbiamo una sola strada davanti: stare vicino ai nostri cittadini dimostrandoci credibili, elevando il valore dell’esempio, dando visioni e qualità.
Siamo italiani: l’emigrazione la conosciamo bene. Siamo l’Italia, patria di cultura e civiltà. Un Paese civile, una comunità matura, non si voltano dall’altra parte di fronte alle sofferenze di qualcuno, non importa da dove arrivi.
Per evitare però che il senso di abbandono faccia vedere il nemico in tutto ciò che è altro, un’Amministrazione deve essere messa nelle condizioni di farsi carico di tutta la sua gente, di programmare percorsi efficaci, di non lasciare indietro nessuno.
Non possiamo sfinirci nel tentativo di mettere continue pezze alle contingenze.
Hai una bici difficile da guidare, Matteo. Pedala, pedala forte e arriva a Bruxelles stremato, con le ciocche sulle mani e le gambe a pezzi. Entra nel Palazzo con tutte le nostre fatiche sulle spalle e mettili in un angolo.Quali speranze, risorse, opportunità, regole e garanzie offrire a chi vive in Europa (e a chi sogna di viverci) è tema da condividere senza ulteriori indugi.
L’Italia è una porta d’ingresso, ma la casa ha confini molto più estesi: altrimenti questa casa è realtà solo nelle nostre intenzioni. Se qualcuno a quelle latitudini pensa di continuare a lavarsene le mani, tocca a te fargli capire che il vento è davvero cambiato.
Buon lavoro, presidente.
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