Nuovo ospedale di comunità
Un annuncio storico

"Le amministrazioni hanno il dovere di giocare in attacco, di prendere di petto le questioni, di guidare i cittadini. Chi amministra non deve considerare mai l'idea di arrendersi, deve essere geloso dei propri cittadini e ambire all'impossibile per trovare soluzioni e prefigurare un futuro migliore”

| Ospedale di comunità
Un'amministrazione deve proiettare lo sguardo al futuro. Se il ciclo vitale di un ospedale viaggia tra i 30 e i 40 anni, considerata l'eta del nostro e i tempi per il nuovo, diventa impossibile dire che non è strategico pensarci.
Finalmente è arrivato il giorno dell’annuncio: Piacenza avrà il suo Ospedale nuovo. Tra 8/10 anni, ma lo avrà.
Si è già parlato molto di questo tema – fondamentale per una comunità – e io mi sono già espresso in modo convinto.
La memoria torna a marzo 2015, quando in Regione, confrontandoci sulle caratteristiche del futuro Direttore Generale dell’Ausl di Piacenza (ancora da nominare), avevamo preso le distanze dal dibattito sulla necessità di avere un piacentino a tutti i costi, per chiedere invece garanzie di competenza e disponibilità a inserire nelle linee di mandato alcune questioni prioritarie. Una di queste è proprio relativa alla nuova struttura.
Ma serve davvero? Io penso di si. Penso anche che un’amministrazione debba avere lo sguardo lungo, proiettato al futuro. Ecco allora che se il ciclo vitale di un ospedale oggi viaggia tra i 30 e i 40 anni, considerata l’eta del nostro e i tempi per la realizzazione di quello nuovo, diventa impossibile dire che non è strategico pensarci.
Altra considerazione non banale. Adesso la Regione ha in programma un investimento di molte centinaia di milioni di euro per tre nuovi ospedali. Il treno passa ora ed è verosimile che saranno molti gli anni che dovremmo aspettare prima che si ripresenti un’occasione così.
Io personalmente non voglio vedere la firma di Parma, insieme a Bologna e Cesena (le altre due sedi scelte). Io voglio che sia la mia città a sottoscrivere protocolli e accordi per dotare i piacentini di servizi all’avanguardia per le prossime generazioni. Non c’entra il campanile, ma la consapevolezza che o si gioca d’anticipo adesso o si resta indietro.
Poi c’è il grande tema della riorganizzazione della rete ospedaliera e di strutture da pensare con filosofie di presa in carico dei pazienti moderne, con spazi organizzati per intensità di cura e non più a padiglioni, e via discorrendo.
I tanti miliardi spesi nell’attuale ospedale non giustificano l’idea di continuare a investire su via Taverna? Per me no, perché oggi un nosocomio in centro storico è anacronistico. Il livello di investimenti, in personale, dispositivi e tecnologie, è anzi la prima garanzia che abbiamo chiesto per dare il via al percorso, perché in sanità bisogna ragionare con logiche particolari ed essere sicuri che niente sarà lasciato al caso fino a un minuto prima di spegnere le luci nel vecchio e inaugurare il nuovo.
Abbiamo lavorato mesi per ottenere questo e per difendere l’idea che non si consumerà un metro quadro di suolo. Il Comune non preferisce la “Lusignani” (che a me nemmeno pare la soluzione ideale, peraltro), ma la presenta alla Regione come una specie di clausola di salvaguardia per dimostrare che un’area accessibile, fuori dal centro storico, con determinati requisiti c’è.
Un modo concreto per dire a Bologna “niente alibi”, noi ci siamo.
Da qui a decidere la sede definitiva, e – argomento mai e poi mai disgiunto dal primo – la destinazione d’uso dell’attuale struttura, parola ai piacentini, perché su un tema così importante ci facciamo garanti per dar voce a tutta la città.
A me francamente, alla fine di tutto il percorso, non dispiacerebbe lo strumento del referendum…
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