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Tertium non datur

Tertium non datur

"Ci siamo risvegliati nel modo più traumatico possibile da anni in cui la politica per il cittadino è arrivata seconda dietro alle mille beghe interne. Abbiamo scelto di essere prigionieri di noi stessi e delle nostre debolezze”

| Il castello è venuto giù

Assumersi la responsabilità di mettersi al servizio di una storia da salvare, che coinvolge migliaia di piacentini nei valori di un centro-sinistra moderno, riformista e progressista, tornando a dare un’identità chiara e riconoscibile. Ricetta semplice ma dannatamente impegnativa.

Il castello del Partito Democratico è crollato. I rattoppi non servono più: bisogna ricostruire. Possibilmente insieme.

Io credo (ancora) ai valori della nascita, non mi rassegno a un’involuzione che si è fatta baratro e mi oppongo a interpretazioni della realtà ormai scollegate dalla base.

Ci siamo risvegliati nel modo più traumatico possibile da anni in cui la politica per il cittadino è arrivata seconda dietro alle mille beghe interne. Abbiamo scelto di essere prigionieri di noi stessi e delle nostre debolezze, abbiamo avuto paura di chiedere aiuto alla nostra gente, di ascoltarne gli umori, di interpretarne le sollecitazioni.

Adesso, o si rigenera, o si sparisce, tertium non datur.

Assumersi la responsabilità di mettersi al servizio di una storia da salvare, che coinvolge migliaia di piacentini nei valori di un centro-sinistra moderno, riformista e progressista, tornando a dare un’identità chiara e riconoscibile, da troppo tempo venuta meno. Ricetta semplice ma dannatamente impegnativa.

L’anno zero ci è imposto dagli elettori e non solo dopo il 25 giugno. La cronaca recente a Piacenza pone il Partito Democratico di fronte a sconfitte in serie, sia sul piano politico che amministrativo, con una provincia ormai trainata da destre più o meno radicali.

Prendiamo atto di dinamiche trite, figlie di un partito ripiegato su se stesso e su fazioni in perenne scontro, abbandonato dagli iscritti e succube di leader non disposti ad accettare che nell’immaginario della nostra base rappresentano ormai il professionismo della politica, intento ad auto perpetuarsi e lontano dal c.d. “mondo reale”. Facciamo mea culpa per aver sacrificato, sull’altare di queste logiche distorte, candidati e amministrazioni, tra cui Fiorenzuola e Piacenza, con l’onta di una disfatta dalla portata senza precedenti proprio nel capoluogo. Pareva esserci assuefazione e su questo c’è chi ha pensato di poter vivere di rendita.  Il voto ha dimostrato invece rigetto.

Un partito che sa solo litigare è debole per definizione. Non aiuta i suoi eletti e amministratori, non si cura dei suoi iscritti e militanti.

L’errore più grave oggi sarebbe tanto auto-assolversi, quanto andare all’ennesima resa dei conti. Tanto dirottare colpe, quanto sminuire ricorrendo a elementi ineludibili ma parziali come la scissione, il trend nazionale e l’elevato astensionismo, che al contrario devono stimolare in tutti riflessioni ancora più pronte. Se continueremo a soddisfarci della narrazione che si fa al nostro interno, sempre più piccolo e deluso, si basi questa su prove di forza, conte o flebili equilibri dettati dall’interesse del momento, possiamo star certi che il declino sarà inesorabile e neppure troppo lento. Al contrario, se torneremo a elaborare politiche reali e a condividere posizioni concrete con i cittadini, nessun nuovo traguardo sarà fuori dalla nostra portata, primo tra tutti quello di tornare alla guida della città già nel 2022.

Oggi abbiamo consegnato Piacenza alla destra per demeriti nostri. Ci siamo regalati cinque anni, per domandarci ogni giorno come tornare ad appassionare i piacentini, a convincerli di essere soggetto coerente e credibile. È questione di qualità dell’offerta politica, d’identità precisa e dell’etica di chi vuol rappresentare comunità di persone.

Discontinuità è la parola simbolo di questi ultimi 6 mesi. Ora l’esigenza si sente ancora più forte.

I segretari, provinciale e cittadino, si sono dimessi con un gesto di apprezzabile dignità politica, ma non si può pensare che bastino un paio di “teste” per sistemare tutto, perché il punto non è quello.

Siamo alla prova del nove, dobbiamo dimostrare e dimostrarci che la strada nuova è intrapresa con convinzione e non per mestiere. Serve voltare pagina, prima di tutto con un nuovo metodo, per farsi carico del rilancio e del massimo coinvolgimento possibile di tutti i militanti, degli amministratori, di chi ha incarichi politici, dei cittadini e delle forze che si riconoscono nei valori della nostra tradizione. I giovani si stancano di attaccare manifesti: devono diventare protagonisti.

Dobbiamo tornare a essere uno spazio di elaborazione permanente di sinistra, non un incubatore di consenso elettorale alla bisogna.

Il Partito Democratico di Piacenza non deve tornare TRA la gente, proposizione stanca e che sottende ancora una volta un “noi” e un “loro” ma DELLA gente, per ribadire autentico spirito di servizio e comunanza di intenti.

in evidenza, politica
Quattrocentodiciassette

Se esistesse il titolo di Mr. Preferenze gli spetterebbe a pieno diritto. Si perché in questa tornata elettorale l’assessore uscente al welfare Stefano Cugini,  45 anni, è riuscito a rimpinguare il non ricchissimo bottino del PD con ben 417 voti.

Primo fra i candidati consiglieri, seguito a ruota da Massimo Polledri della Lega Nord e da Lorenzo Colla della lista Piacenza Più.

Che Cugini fosse un uomo di peso, all’interno dello schieramento del centro-sinistra, già si sapeva tanto che si era parlato di lui come papabile candidato sindaco prima che dal cilindro uscisse il nome del professor Paolo Rizzi. Ma qualcuno, un po’ malignamente, pensava che le tante polemiche sul tema profughi e soprattutto la vicenda del Nido Farnesiana potessero danneggiarlo. Invece dalle urne è uscito decisamente vincitore.

Come c’è riuscito Cugini?

Io credo avendo fatto il mio lavoro negli ultimi tre anni. La grande soddisfazione è che questi voti, secondo me, sono veramente frutto di un mandato interpretato mettendoci la faccia, prendendo anche posizioni scomode in difesa dei miei concittadini. Questo alla fine ha pagato perché in campagna elettorale non è che abbia fatto qualcosa di diverso o di particolare per andare a prendere preferenze chissà dove.

La vicenda che ha contrassegnato gli ultimi giorni della Giunta Dosi, ossia quella del Nido Farnesiana, temeva la potesse danneggiare in questa corsa?

Dico la verità: quando è successo è stata talmente devastante, come situazione, che non ho pensato al tema elettorale. In quel momento ho scelto di dedicarmi al campo specifico abbandonando qualunque altro tipo di discorso. Non nego che il risultato finale, in termine di consenso, anche a fronte di quello che è successo negli ultimi quindici giorni, penso premi il fatto che ancora una volta ci ho messo la faccia, non mi sono sottratto alle responsabilità. Probabilmente i cittadini questa cosa la hanno apprezzata. L’hanno apprezzata negli ultimi tre anni e l’hanno apprezzata anche negli ultimi quindici giorni.

La strada per il ballottaggio ora è in salita con Rizzi che parte dietro alla Barbieri. Nel caso – dal vostro punto di vita malaugurato – che non riusciste a vincere, Cugini cosa tornerà a fare della sua vita?

Cugini si cercherà un lavoro perché per evitare qualsiasi contestazione – che poi c’è stata puntualmente – quando sono stato nominato assessore mi sono licenziato dalla cooperativa sociale presso cui lavoravo. Avrei potuto andare in aspettativa ma ho preferito dimettermi. Quindi Cugini eventualmente tornerà a cercare un lavoro come fanno decine di migliaia di cittadini italiani ed europei. Dopo di che, nel caso malaugurato appunto che non si riesca in questa emozionante rincorsa, farò una opposizione dura e costruttiva per i prossimi cinque anni. La politica è fatta di maggioranze ma anche di opposizione.

Ci sono 417 persone (e forse anche più visto il numero importante di schede nulle) che mi hanno scelto e che continuerò a rappresentare, a prescindere dal ruolo.

Ce la potete ancora fare?

Certo, assolutamente. Sono un ottimista per natura. Anzi ritengo che le vittorie che arrivano dopo una rincorsa diano ancora più soddisfazione di quando si parte favoriti.

Certo c’è da lavorare, c’è da crederci. Però io, da dentro, ho coscienza di tutto quello che abbiamo fatto, in particolare ho coscienza di quello che è stato fatto sul sociale, sul welfare. Non nego che sarei molto preoccupato dall’impostazione che sul sociale darebbe un governo della città di destra.

Perché qui si continua a parlare di centro destra ma nel caso di malaugurata sconfitta di Rizzi sarebbe la Lega a governare la città, insieme a Fratelli d’Italia, e quindi sarebbe un governo di destra, scelto ovviamente, democraticamente dai piacentini ma pur sempre con tutto il “portato” culturale che li contraddistingue.

Dove potete andare a pescare i voti visto che né da una parte né dall’altra sembrano probabili apparentamenti?

I voti si vanno a prendere parlando con la gente e rilanciando i messaggi che evidentemente sono stati colti poco.  C’è un dato di astensionismo molto alto e quindi ci sono tutti i margini, all’interno di questo astensionismo, per andare a prendere i voti che ci servono per questo sorp
asso. C’è un elettorato che ha votato a sinistra che mi auguro non voglia assolutamente prendere in considerazione che sia la destra a governare la città. Poi c’è un elettorato moderato che è quello di Massimo Trespidi che – in quota parte – è fatto anche di persone che preferiscono un governo di centro-sinistra a quello di destra.

C’è qualcosa che vi potete rimproverare come giunta uscente? Il risultato migliore della Barbieri è frutto anche di una amministrazione Dosi che non è piaciuta?

C’è sempre da rimproverarsi qualcosa. Credo che l’autocritica distingua le persone intelligenti. E’ innegabile che abbiamo lavorato in condizioni molto difficili sotto tutti i punti di vista, dovendo gestire emergenze che nessuno mai aveva gestito; mi viene in mente l’alluvione e poi l’arrivo massiccio di profughi. Tutti temi molto impattanti anche dal punto di vista mediatico e di percezione da parte delle persone. L’abbiamo fatto con il massimo impegno. E’ chiaro che lavorare continuamente in emergenza, con una scarsità di risorse importante, ti espone – in momenti di crisi – a critiche, alcune delle quali sono sacrosante e sulle quali bisogna ragionare. Altre le ho viste molto più strumentali o figlie di poca conoscenza … ma ci stanno. Questa è la democrazia. Io continuo a dire che il sistema elettorale locale è comunque il migliore in assoluto.

Alla fine quello che decideranno i piacentini andrà ovviamente rispettato. Io penso che i piacentini sapranno riconoscere in mezzo al contesto che stiamo vivendo quanto di buono è stato fatto e potrebbero premiarlo ancora con la loro scelta al ballottaggio. 

Carlandrea Triscornia – Piacenzaonline.info

welfare e sanità
Ombre di destra sul welfare

Periodo duro per gli aspiranti Sindaco, sballottati qua e là a incontrare persone e associazioni per promuovere la loro idea di futuro.

La candidata della destra dimostra particolare attenzione ai temi sociali (bene) e così, dopo le case popolari e la violenza sulle donne, prova a dire la sua sul welfare in generale.

Si nota, per lo meno, un sensibile cambio di toni: non più un attacco a testa bassa, solo l’immancabile frecciatina elettoral-propagandistica. Ci sta, dai.

Peccato che ancora una volta manchi il bersaglio.

“Ho intenzione di ribaltare l’ottica dei servizi sociali incatenati a sistemi assistenzialisti per entrare finalmente e concretamente nell’era della sussidiarietà“.

Che sussidiarietà e contrasto all’assistenzialismo siano due capisaldi del nuovo welfare non ci piove: lo dico da sempre.

Che invece ci sia un’ottica da ribaltare è falso, dato che a Piacenza la reciprocità l’abbiamo introdotta noi da più di due anni. E si che, di nuovo, chi la consiglia ha di certo preso parte a quell’interminabile commissione welfare che per il centro destra in Comune doveva servire a dimostrare i vizi di un sistema e si è invece risolta nella conferma forzosa della bontà del lavoro svolto.

ATTENZIONE! Bisogna però leggere tra le righe della dichiarazione per capire quale piega la nostra vuol far prendere al sociale…

Se parliamo di welfare mix, anche in questo caso abbiamo amministrato valorizzando al massimo il principio di integrazione tra pubblico e privato. Lo affermo avendo i dati dalla mia parte.

Mentre però da sempre sostengo la necessità politica di mantenere in capo all’ente pubblico una forte funzione di coordinamento del sistema, da destra la cosa è vissuta come un fastidioso prurito.

In consiglio comunale hanno spesso sostenuto il bisogno (a dir loro) di un welfare più “aziendalista”. Oggi, coerentemente con questa visione, Massimo Trespidi parla di buoni da erogare alle famiglie (e poi si arrangino loro), secondo il principio lombardo della sanità; Patrizia Barbieri, pur restando più sul vago, afferma che:

“Il Comune, nella gestione del welfare, dovrebbe sempre più delegare, sostenere e incentivare servizi e progetti del privato“ (…) In tal modo (…) potrebbe allocare meglio le proprie risorse umane ed economiche“

La direzione è diametralmente opposta al sistema emiliano romagnolo che ha reso il nostro impianto sociale e sanitario un modello a livello mondiale. La linea è quella, netta, dello smantellamento della presenza pubblica nel welfare, opzione che persino il privato sociale – quello che lavora bene e davvero conosce il senso profondo della sussidiarietà, ha sempre escluso.

D’altronde è la solita differenza tra chi “parte dalle lacrime” degli ultimi, di chi è più in difficoltà e chi invece è interessato solo a offrire servizi a quelli che se li possono permettere, perché per qualcuno…business is business!

Noi dobbiamo essere quelli che girano tra la gente, tendono le mani, lanciano messaggi, mostrano volti, propongono esempi. Partigiani dell’azione civile in un mondo con poca memoria, che prova ostinato a ripetere errori passati. ‪”Mai piú‬” o si costruisce giorno per giorno, o resta uno slogan che sa di muffa e ipocrisia.- Stefano Cugini
società
Scrivi Cugini!

5 anni fa ero un cittadino alla prima esperienza politica.

Oggi, dopo quasi 2 anni da consigliere comunale e poco più di 3 da assessore ai servizi sociali, vissuti con presenza, impegno e determinazione, mi sento degno di servire ancora la mia città.

Mi sono avvicinato all’amministrazione per portare il mio granello di cambiamento a un dibattito troppo litigioso e lontano dai veri problemi delle persone.

Posso dire con orgoglio che la politica non mi ha cambiato e che ho mantenuto i valori con cui mi sono approcciato a questa sfida.

Per questo ci riprovo, convinto che la candidatura non sia (solo) ambizione personale, ma spirito di servizio, per mettersi a disposizione di altre persone, rappresentarle e pensare insieme alla nostra Piacenza.

Non amo i radicalismi, ma altrettanto fuggo dalle forme indefinite che inglobano tutto e il suo contrario.- Stefano Cugini
nuovi cittadini, partecipazione, società
La vera sicurezza è libera dai pregiudizi.

Il primo che mi parla ancora di percezione, giuro che lo strangolo!

L’ho sentito in un incontro pochi giorni fa, pronunciato da una signora minuta e composta, che mai avrei pensato capace di tanto impeto. Capelli candidi come la neve e occhi chiarissimi, sgranati ad ammonire il mondo, con la mascella tremante più per l’agitazione improvvisa che per la dentiera calibrata male. Sarà stato il contrasto tra l’esile figura e il piglio battagliero che ha amplificato la scena, ma i secondi di silenzio che ne sono seguiti sembravano non voler finire mai.

Non che avessi molto da riflettere, ma è stato un attimo darle ragione. A nessuno di noi piace non essere preso sul serio, figuriamoci se si parla del fatto di sentirci sicuri in casa nostra, per strada, nelle nostre città.

Le dissertazioni sull’idea di sicurezza possono – e devono – portarci lontano, ma è un dato che nascondersi dietro il dito della percezione è la peggiore delle scuse per non affrontare con coscienza il tema, ai limiti dell’offesa per chi sente di dover parlare dell’argomento, se toccato in prima persona o nei suoi affetti più cari.

Liquidare la questione suggerendo ai cittadini di mettere le sbarre alle finestre o di comprarsi un antifurto di ultima generazione sarebbe ridicolo, non fosse provocatorio. Eppure, i più ricorderanno, è successo anche questo. Come un disco rotto ripeto da anni che per me la sicurezza poggia su alcuni presupposti che oggi sembrano utopia ma che, altrettanto, nessuna ronda o militarizzazione spinta dei quartieri potranno mai sostituire in efficacia e persistenza. Mi riferisco a parole démodé quali relazioni, rispetto, conoscenza, fiducia, giustizia. Valori che hanno declinato generazioni precedenti la nostra e per i quali non esiste motivo al mondo a impedirne il rilancio.

L’idea di una comunità che “si cura” per essere “sicura” sta su due gambe che devono entrambe avere solide fondamenta: da un lato persone che si parlano, si conoscono, imparano a fidarsi e a portare rispetto – a se stessi, al prossimo, ai luoghi in cui vivono e che frequentano, che si fanno parte attiva dei bisogni del loro condominio, della via, del rione. Dall’altra, un sistema di sorveglianza, prevenzione e repressione delle forze dell’ordine ben rodato, che dia sufficienti garanzie a chi delinque, o se ne frega delle regole, di non farla franca e la tranquillità ai giusti di non passare per stupidi.

Il ruolo di ognuno di noi in questo è capitale. Non voltarsi dall’altra parte, non pensare che tocchi sempre a qualcun altro, cercare nel vicino un alleato in questa gara di civiltà anziché isolarsi, segnalare senza sosta malcostumi e trasgressioni, non sentirsi esenti dal rigore che ogni volta pretendiamo dagli altri, sono i tanti tasselli di una comunità nuova.

I bambini delle scuole, i piccoli grandi cittadini del consiglio comunale dei ragazzi, sono tutti d’accordo nel voler giocare sicuri nei giardini ma altrettanto non ce n’è uno che vorrebbe telecamere ovunque e pattuglie dell’esercito a ogni angolo. Idem per molti adulti, quasi di ogni età.

Cos’è la destra? Cos’è la sinistra? Qui la questione è più complessa, anche se alla fine, sbagliando, si va a parare sempre lì. Se è vero che solo il “volemose bene” è da buonisti e soltanto “il manganello” da fascisti, il buon senso invece non è di parte, né è troppo affezionato alle ideologie (o a quel che ne resta).

In medio stat virtus, dicevano quei tali, e a noi che siam molto più terra-terra non resta che fidarci. La vera sicurezza è libera dai pregiudizi. I cretini si distribuiscono con generosità e uniformità. Non c’è razza, credo politico, fede religiosa che tenga. Contano solo l’educazione e il rispetto, che di partenza possono muovere da provenienze culturali diverse, ma il cui punto di sintesi dipende solo dalla buona volontà di chi desidera, per sé, la sua famiglia, i suoi bimbi, una vita serena e tranquilla. Siamo esseri sociali, istintivamente portati a cercare gli altri.

Manca giusto un pizzico di memoria su questa condizione naturale e, dove serve, azioni ben assestate per rimettere in carreggiata chi ha la tendenza a farla un po’ troppo fuori dal vaso. E voilà, il gioco è fatto! Sembrerebbe fin facile…

Essere onesto può non farti avere tanti amici, ma ti farà avere quelli giusti.- John Lennon
diritti, politica
POLITICA: Giorgia Meloni dà le case popolari a Rom e Sinti

Dopo la Lega Nord di Piacenza che sostiene il modello di accoglienza profughi che ha portato a mafia capitale, nel mentre di una destra piacentina che lavora per chiudere i nostri ospedali, ecco Giorgia Meloni che vuole mettere Rom e Sinti nelle case popolari.

Non c’è trucco e non c’è inganno: basta mettere in pausa l’istinto e studiare un po’ l’argomento (o ascoltare chi lo spiega) per capire le conseguenze di quello che dice la leader di Fratelli d’Italia.

Non è questione di giudizi morali o di opinioni personali. Mi diverte solo il fatto che chi si abitua al qualunquismo casca nelle sue stesse contraddizioni, sperando che la gente ormai assuefatta a spellarsi le mani per gli slogan non se ne accorga.

Ma proviamo a sbobinare insieme la video intervista:

Primo ascolto tutto d’un fiato:

  • Reazione ingenua 1 (l’arrabbiato):  “come si fa a non darle ragione?
  • Reazione ingenua 2 (il buonista):  “ma tu cosa hai fatto quando eri al governo?
  • Reazione consapevole (l’amministratore): “ma vai a lavorare e smettila con le panzane!

Secondo ascolto, punto per punto:

se sei nomade io ti attrezzo delle piazzole di sosta temporanee, dove tu arrivi, ti agganci, paghi la luce e il gas come fa qualunque italiano, dopo di che, quando hai finito di nomadare, transumi e vai.

Reazione consapevole (l’amministratore):

  • il campo è già un insieme di piazzole di sosta attrezzate, quindi per esempio, da questo punto di vista il Comune di Piacenza è in linea con i desiderata dell’onorevole.
  • già è previsto che gli ospiti paghino luce, gas e acqua. A Piacenza ogni piazzola ha il suo allaccio
  • che qualunque italiano paghi luce e gas è da dimostrare, come si evince dai dati delle morosità delle case popolari, che per l’87% dipendono da nuclei italiani
  • cosa succede in concreto se poi non transumano e non se ne vanno? E se non pagano le quote? Si sgomberano e si accompagnano ai confini della città? Chi li sgombera, Polizia municipale o altre forze dell’ordine? Sicura on. Meloni che la legge lo consenta? E quando ritornano? E se si fermano a sostare sotto i cavalcavia o in giro, sparsi per la città?

sei stanziale, cittadino italiano povero? Ti metti in fila come tutti i cittadini italiani poveri per accedere a una casa popolare e non pretendi, in virtù del fatto che tu sei rom o sinti, di avere qualcosa che ai cittadini italiani non rom e non sinti non viene riconosciuto.

Reazione consapevole (l’amministratore):

  • se decidono di finire di nomadare e devono transumare e andarsene, come fanno a mettersi in fila per le case popolari?
  • nel caso, intanto che si mettono in fila come tutti i cittadini italiani per una casa popolare, dove stanno?
  • lo sa, l’onorevole Meloni, che stante la situazione tipo dei nuclei rom e sinti (fragilità, assenza di lavoro e reddito), va a finire che schizzano in testa alle graduatorie di assegnazione erp, a discapito di tutti gli altri?
  • una volta assegnata la casa popolare, come richiesto dall’on. Meloni, data la probabile impossibilità a pagare, chi si accolla la morosità conseguente? Le casse pubbliche, ovvio.

l’altro giorno mi hanno fatto vedere un bel progetto di integrazione, dove ai sinti sono state costruite delle belle casette a schiera a 30€ al mese, e se tu sei italiano non sinti la casetta a schiera a 30€ al mese non te la danno

Reazione consapevole (l’amministratore):

  • il canone minimo di un alloggio erp a Piacenza è di 25€. Quindi, quella indicata dall’onorevole Meloni è una cifra mensile che anche un italiano non sinti si trova a pagare. Nessun favoritismo dunque

dopo di che aggiungo un altro elemento: c’è un tema di rispetto delle regole che noi abbiamo nascosto dietro questo buonismo ridicolo di certa cultura. In una famiglia italiana non rom, se tu mandi tuo figlio a mendicare, ti tolgono la patria potestà, se tuo figlio vive in mezzo ai topi ti tolgono la patria potestà e non ti consentono di crescerlo in una situazione indigente

Reazione consapevole (l’amministratore):

  • vale esattamente anche per la famiglia rom o sinti. Basta parlare con qualsiasi assistente sociale seria di un Comune serio per avere conferma di queste procedure.
  • proprio per lo stato di indigenza e per i rischi indicati dall’onorevole, qualora i nuclei fossero privi di aree attrezzate, la possibilità di adempiere all’obbligo di farsi carico dei minori in capo ai Comuni aumenterebbe in modo esponenziale, con costi incalcolabili per le casse pubbliche.

Da parte mia, sono chiaro da un paio d’anni: no a percorsi preferenziali per l’ingresso nelle case popolari, no alle micro-aree per chi non si dimostra solvente con la propria piazzola al campo.

Se ai diritti non leghiamo i doveri, resta sempre qualcuno che paga al posto di altri. Alla gente per bene, così non va.

Ma io sono un buonista e il mio messaggio di responsabilità amministrativa fa molto più fatica ad arrivare di un mini comizio fatto diventare virale on line…

http://stefanocugini.altervista.org/sinti-bando-campo-sosta/

Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta.- Dante Alighieri, Inferno, canto III
partecipazione, politica
ELEZIONI: trasporto gratis e Polizia ovunque: che programma!
Per fare buona politica non c’è bisogno di grandi uomini, ma basta che ci siano persone oneste, che sappiano fare modestamente il loro mestiere. Sono necessarie, la buona fede, la serietà e l’impegno morale. In politica, la sincerità e la coerenza, che a prima vista possono sembrare ingenuità, finiscono alla lunga con l’essere un buon affare.- Piero Calamandrei

Riprendo pari pari la premessa di un mio precedente post per un altro consiglio non richiesto (ma dato di cuore) a te, che a giugno voterai per il nuovo Sindaco di Piacenza: occhio ai programmi farlocchi!

Amministrare una città, provincia, regione o stato che sia, é un onore. Meritarsi questo onore richiede alcuni presupposti, tra cui esprimere in modo netto una linea, specie su questioni nodali per la tenuta morale, economica, sociale di una comunità. La sintesi, purché al rialzo, é una dote, ma “botte piena e moglie ubriacaé un’equazione impossibile. Chi prova a dimostrare il contrario, é ipocrita.

Diffida dei programmi che da ogni parte ti saranno sottoposti, non soffermarti tanto sulle proposte e non accontentarti di chi ti dice che sono fattibili.

Chiedi per ogni voce COME si intende realizzarla e DOVE si pensa di reperire le risorse.

Non berti la solfa del taglio degli sprechi, che a Piacenza non funziona. Gli spazi da questo punto di vista sono ridotti al lumicino.

Chi promette Polizia Municipale ovunque, trasporti gratis, telecamere in ogni angolo di città, strade perfette, giardini curati, sanità puntuale, … non fargli nemmeno finire i suoi proclami senza che ti abbia detto quali servizi intende tagliare.

O non ha idea di cosa parla, o ti sta prendendo in giro. In entrambi i casi non merita la tua fiducia.

Una città non si guida con le buone intenzioni, ma bilanciando visioni e possibilità. Lo dico sulla scorta dell’esperienza della commissione welfare presieduta da Massimo Polledri, nata per tagliare i servizi sociali che l’amministrazione buonista dispenserebbe senza responsabilità e finita con un documento che ricalca pari pari le azioni che stiamo già facendo, certificandone la bontà.

Scegliere il Sindaco è una cosa seria: metti in crisi tutta la politica, di ogni colore, soprattutto quella che ti sta più simpatica. Chiedi risposte precise su quale strada ognuno pensa di intraprendere e guarda bene negli occhi il tuo interlocutore (se riesce a risponderti).

Ricorda: i vecchi direbbero che i can con la lùganga ia liga ‘tuoi. Se alla fine qualcuno ti avrà convinto, sceglilo senza riserve!

Votare consapevolmente è il primo passo per costruire classi politiche migliori, comunità più mature e città più belle e solidali.

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