casta e dintorni, curiosità, società
T’amo, pio hater

T'insulto, quindi sono.

"A furia di sdoganare volgarità, insulti, accuse, frasi choc, finendo per farle entrare tra gli usi e costumi, ci troveremo inevitabilmente a chiederci come siamo arrivati a tutto questo, domanda che di solito si fa quando è troppo tardi.”

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"Mi piace" al post che mi diffama

| Leoni da tastiera

Dal vivo spesso ti trovi di fronte persone miti e un po' impacciate, che faticano a incrociare il tuo sguardo mentre domandi il più banale dei perché. Davanti a un video, escono di cotenna e non ce n'è più per nessuno.

Non si risponde all’odio con l’odio. Esistono altri modi per replicare agli haters sui social, quelli che ti insultano come non esistesse un domani, permettendosi di dirti cose o accusarti di azioni che, prese in minime dosi, fossero vere, basterebbero a rovinare l’esistenza di una persona.

Prima regola, per quanto mi riguarda, non scendere allo stesso livello e tenere a freno i polpastrelli sulla tastiera.

L’odio cresce come la panna montata e si alimenta da sé. Evitare di rendersi complice dell’escalation del cattivo gusto è fondamentale.

Rispettata la prima regola, come in tutte le cose, chi guarda la vita con un certo ottimismo di solito cerca di ricavare il positivo anche dalle situazioni peggiori, fedele al principio che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior“.

Un buon metodo, che suggerisco, è quello di coinvolgere chi ti calunnia in azioni di beneficienza utili alla collettività, facendogli provare la bellezza di donare al prossimo: come? Semplice.

  1. scegli una buona causa che secondo te merita il tuo sostegno (dipende di solito dai campi di interesse o dalle esperienze di vita private) e individua l’associazione che meglio la interpreta;
  2. fai uno screenshot degli insulti, di tutti quelli che mettono i “mi piace”, stampalo e vai al Comando di Polizia Municipale della tua città a sporgere denuncia/querela;
  3. rileggi il verbale, firmalo, fatti rilasciare la tua copia e ringrazia il/la querelato/a per la sua buona azione, dandogli/le la notizia del bel gesto con un pacato commento di risposta al post in cui ti infama.

Il riscontro è importante, perché più il metodo è conosciuto e si diffonde, più denaro è raccolto per beneficienza.  Pare anche che, toccati nel portafoglio, si attivino neuroni in sinapsi nuove e inaspettate.

Di solito funziona.

partecipazione, società
ESPERIMENTO SOCIAL: meglio la forma o la sostanza?
Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta.- Dante Alighieri, Inferno, canto III

facebookSe si legge un bisogno, la soluzione va cercata in una logica di rete e, possibilmente, deve servire a promuovere relazioni e senso di comunità.

Il volontariato mi ha fatto imparare che ci si muove così e io fatico, anche da amministratore, a rispettare liturgie diverse da questa impostazione immediata e genuina.

Capita così che servono un po’ di soldi per comprare i libri di testo a due minori appartenenti a una famiglia in condizioni di fragilità assoluta e che, d’istinto, mi venga l’idea di fare l’appello su Facebook.

Quel che è seguito nel gruppo, dà il conto di quanto ogni testa sia capace di farsi un film tutto suo, anche di fronte a una richiesta semplice semplice: mi dai un euro? Soprattutto fa capire come la partecipazione e l’idea stessa di mettersi in gioco e in discussione, per qualcuno, siano concetti vaghi, molto più facili da enunciare che da agire.

appello facebook libri di testo

 

 

 

 

 

Ecco il testo dell’intervista di Thomas Trenchi, pubblicata su sportelloquotidiano.com:

Con quel messaggio, non ha temuto di trasmettere un senso di impotenza dell’amministrazione?

«No, forse con un po’ di incoscienza. Vengo dal mondo del volontariato, ho questo limite: se intravedo un bisogno, mi attivo per risolverlo. Sono orgoglioso del lavoro dei servizi sociali locali, in questo caso non si trattava di sopravvivenza ma di diritto allo studio. È stata una bella occasione, mi sono buttato nel canale dei social e ho proposto qualcosa di positivo, alla faccia delle tante bestialità divulgate ogni giorno. Non capisco di cosa dovrei vergognarmi».

Sul sito del Comune di Piacenza, è disponibile il bando per richiedere la fornitura gratuita dei libri scolastici. Lei invece si è affidato a Facebook, piuttosto che utilizzare uno strumento pubblico. Ha perso fiducia nelle istituzioni?

«Stiamo parlando di bandi che prevedono dei rimborsi. Per rimborsare qualcosa, occorre avere i soldi per procedere all’acquisto. Questa famiglia non ha denaro da anticipare, perciò mi è sembrato molto più semplice trovare un modo per comprarli».

Durante il suo operato, ha già intrapreso iniziative di questo tipo?

«Una sola volta. Avevo bisogno dell’arredamento per una camera da letto per una famiglia bisognosa. Ho pensato di chiedere aiuto su un gruppo Facebook con  molti iscritti. Dopo ventiquattro ore, avevo raccolto il necessario».

Qual è il livello di povertà a Piacenza?

«La capacità di copertura del welfare in città è circa del 25% rispetto al bisogno, un dato in linea con quelli nazionali. Riusciamo a intercettare le nuove povertà. Al contrario, le numerose condizioni di marginalità sono difficilmente mappabili, anche a causa della titubanza ad esporsi».

Diversi piacentini hanno disapprovato l’azione di Cugini, poiché non avrebbe adottato un piano programmatico capace di far fronte all’emergenza a trecentosessanta gradi, andando in soccorso solamente ad una delle tante famiglie che attraversano momenti non facili. L’assessore, tuttavia, ringrazia chi si è gia recato alla libreria Romagnosi per donare: «Sono stati presi due piccioni con una fava: si è creato un senso di comunità e si sta risolvendo un problema senza utilizzare soldi pubblici». Con ostinazione, annuncia: «Quando avrò a disposizione tutti i libri, posterò una foto sul gruppo».

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