società, welfare e sanità
Orgoglio volontario

Esempio volontario

"La politica è la forma più alta di carità - sosteneva Papa Paolo VI. Il volontariato è la più alta forma di politica - aggiungo io.”

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Anni di Servizio Sanitario Nazionale

| GAPS Piacenza

Il progetto nasce nel 2007 in risposta al bisogno di ascolto e di informazione delle persone in attesa, sia parenti che pazienti, in Pronto Soccorso. L’obiettivo è stato quello di formare “facilitatori” che fungessero da tramite tra i pazienti, i loro famigliari e il personale sanitario.

Per Papa Paolo VIla politica è la più alta forma di carità“.

Poggiandomi, senza merito alcuno, su un concetto tanto semplice quanto potente, mi permetto di completarla dicendo che “il volontariato è la più alta forma di politica“.

Oggi si sono celebrati nello splendido contesto dei Teatini i 40 anni di Servizio Sanitario Nazionale e, nell’occasione mi è stato chiesto di tradurre in parole alcune sensazioni del mio primo amore, il volontariato appunto.

Come deve (o dovrebbe) fare la politica, come certamente fa quella virtuosa,

il volontariato legge un bisogno, pensa alle risposte, individua le risorse, organizza le forze, agisce in concreto.

Il tutto condito dal tratto unico e caratterizzante della gratuità.

Mettersi a disposizione senz’altra ragione che sentirsi utile forma le persone, le migliora, migliorando al contempo la società in cui viviamo.

Dedicarsi al prossimo nel contesto sanitario, in cui necessariamente ti trovi più vicino alla sofferenza, all’ansia, agli attimi in cui un essere umano si sente più indifeso del solito, è un grandissimo banco di prova.

L’Emilia Romagna è terreno fertile di capitale sociale, patria di migliaia di volontari di ogni genere e tipo, pronti a rispondere “presente” al bisogno.

Il volontariato però, come tutto nella vita, difficilmente dispiega le proprie potenzialità se non inserito in un contesto, in una rete, nello sviluppo di sinergie diffuse.

Così è stato anche per Gaps, a partire da quel 2007, dal bisogno condiviso con Ausl di star vicino a chi arriva in Pronto Soccorso col suo carico di disagio e cerca informazioni, ascolto, una presenza discreta che faccia percepire come meno ostile un ambiente in cui non si sceglie di andare se non costretti.

La sanità piacentina ha creduto in questo progetto come e quanto i cittadini/volontari, supportandolo dalle fasi iniziali, nei rimandi, nello sviluppo.

Dal direttore generale Andrea Bianchi, ai primari, prima Maurizio Arvedi e oggi Andrea Magnacavallo, alle caposala, Carla Zucconi e ora Paola Nassani, fino agli infermieri: una platea di persone, un “sistema”, pronto ad accogliere ciò che all’inizio era a tutti gli effetti un elemento estraneo, un possibile fattore di disturbo e di rallentamento dei lavori.

Ci sono volute pazienza, impegno e discrezione. E tanto tanto confronto, in cui l’autoreferenzialità è stata accantonata per un obiettivo comune.

Per me è stato un momento di passaggio tanto educativo che mi ha spinto a un impegno ancora maggiore, in un contesto ancora più ampio.

Oggi guardo da fuori la crescita del Gaps, dato che mi sono ritirato una volta eletto in Consiglio comunale, e vedo con piacere che se un’idea è buona e corre sulle gambe di persone appassionate, all’interno di un sistema che ne riconosce l’utilità, i singoli sono utili ma non indispensabili e la cultura del “noi” diventa la vera e unica stella polare di una sfida vinta insieme.

Il Gruppo Accoglienza Pronto Soccorso è solo un esempio tra tutte le realtà che fanno rete con la sanità piacentina, dimostrando ogni giorno, sul campo, l’autentico significato di integrazione tra servizi a beneficio di un’utenza per sua natura fragile e bisognosa del giusto mix di professionalità nelle cure e umanità nella presa in carico.

welfare e sanità
SALUTE: lungodegenze, finalmente una prospettiva.

Lungodegenze, sarà la volta buona? Nell’ultima seduta della CTSS (Conferenza territoriale sociale e sanitaria) il Direttore generale dell’Asl, Luca Baldino, si è scagliato contro le cliniche private convenzionate della città che, a suo dire, sono fuori standard.

Ora basta! Da troppo tempo riceviamo continue lamentele sulla qualità delle strutture delle cliniche private. Ho scritto una lettera indirizzata a tutti gli enti privati accreditati. O si adeguano in termini infrastrutturali e assistenziali agli standard previsti dalla Regione Emilia Romagna, oppure l’azienda USL dovrà necessariamente studiare alternative.

Dal Comune di Piacenza grande soddisfazione per le parole del Direttore, che ha scelto di rendere pubblico un nervo scoperto su cui da tanto tempo stiamo tirando la giacca all’Ausl. La nostra attenzione è datata, tanto da essere già stata sollevata in Consiglio comunale nel febbraio 2015, suscitando la piccata risposta dei diretti interessati.

Alla luce della presa di posizione di ieri, immagino improbabili nuove levate di scudi a difesa dell’esistente.

Mi ha fatto piacere essere citato come colui che, per conto dell’amministrazione, si è fatto portatore nel tempo delle istanze di molti piacentini. Quando si parla di anziani, disabili, persone fragili, cittadini spesso prossimi al fine vita, va da sè che sia i pazienti che i familiari meritino tutta l’attenzione e la delicatezza possibili, con una presa in cura attenta, dignitosa, di qualità: umana, organizzativa e professionale.

Possibile sia solo sentito dire? Sarà pure ma, come quando si parla di sicurezza, la percezione è un aspetto da considerare in modo attento, perché qualcosa di vero porta sempre con sè. Già al precedente Direttore generale, Andrea Bianchi, avevo pìù volte chiesto di ampliare il raggio di azione dei comitati consultivi misti anche alle sedi di lungodegenze, proprio per avere un soggetto terzo in grado di portare la voce e gli occhi dei cittadini dentro alle strutture, per avere – e poter trasmettere – un punto di vista oggettivo.

Ora mi aspetto i sensibili miglioramenti che l’ing. Baldino ha chiesto, ma ribadisco il bisogno di studiare forme di monitoraggio periodico a tutela delle fasce più deboli di pazienti.

Ciò detto, resta ancora da affrontare il tema da un punto di vista più funzionale e strutturale, perché a oggi c’è una fascia di persone che esce dalla fase acuta e viene impropriamente collocata in lungodegenza dato che mancano soluzioni intermedie più adeguate, in attesa del recupero e del ritorno a casa. Questione complicata ma impellente, che chiama in causa il bisogno, anche alla luce della riorganizzazione della rete ospedaliera in corso, di approntare sul territorio un’offerta integrata che contempli tutte le dimensioni (sanitaria, socio-sanitaria e socio-assistenziale) anche attraverso la riconversione dei posti letto di ospedali e case di cura in letti di sollievo e a valenza sociale.

Inquadrato un punto, è bene pensare subito a quello successivo. I piacentini meritano risposte adeguate ai loro bisogni crescenti.

La politica deve essere operaia, fatta di esempio e sacrificio. Senza il primo non c’è credibilità. Senza il secondo manca la spinta al miglioramento.- Stefano Cugini
open consiglio, opinioni, welfare e sanità
Guidare il cambiamento

Futuro in salute

"Abbiamo il dovere di guidare il cambiamento. Siamo chiamati a fare scelte che connoteranno i prossimi 20 anni, non a subirle”

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Il tempo stimato in anni per la costruzione del nuovo ospedale

| Numeri e buon senso

Senza i numeri, i chirurghi migliori se ne vanno. Senza i numeri, i chirurghi migliori non arrivano. Poi, ocus dai luoghi di cura ai percorsi di cura, perché oggi la principale barriera ai primi non è la distanza ma la complessità del percorso.

Futuro_SaluteAbbiamo il dovere di guidare il cambiamento. Siamo chiamati a fare scelte che connoteranno i prossimi 20 anni, non a subirle.

I tecnici sono indispensabili ma la politica non può permettersi deleghe in bianco. Siamo a un punto di svolta e dobbiamo meritarci il privilegio che ci é concesso di avere un ruolo in questa partita.

Non é tempo per chi cerca di cadere sempre in piedi: le sfide si affrontano a viso aperto. É un principio generale, valido in sanità ma non solo. Da applicare a chi amministra, ma pure ai sindacati, chiamati anche loro a ripensarsi e a riformarsi, specie in alcune espressioni ancora troppo legate a posizioni ormai vecchie.

Dobbiamo recuperare tutta la nobiltà insita nella fatica di affrontare situazioni complesse. Nell’era dei tweet e delle semplificazioni, ci siamo disabituati a cogliere il valore dell’approfondimento.

Al tempo dei colletti bianchi, abbiamo perso l’autentico spirito operaio, di chi sa cosa vuol dire ottenere i risultati sudando e sporcandosi le mani.

Io la mia idea sul nuovo ospedale l’ho già espressa da un po’, come dimostra questa intervista al Corriere Padano di un mese fa:

  • Assessore Cugini, che cos’è “Futuro in salute”, uno slogan?
    Futuro in salute, il percorso partecipato avviato dall’Ausl con i Sindaci e presentato in Consiglio comunale è serio, fatto di dati, chiavi di lettura, confronto. Il tema della sanità è centrale e l’errore più grande che si potrebbe fare oggi è quello di affrontarlo, ancora una volta, con il freno a mano tirato e pronti a battaglie di retroguardia. La domanda che ognuno dovrebbe porsi è semplice: ‘preferisco avere l’ospedale vicino a casa o essere curato bene?’ Perché poi, alla fine, di questo si parla quando si pensa a rivedere gli assetti generali della presa in carico di chi ha bisogno di essere curato. Chi non si impegna a dare questa risposta, guarda il dito e non la luna. Ciò detto, in un contesto complicatissimo, bisogna estrapolare alcune pietre angolari. La prima è la cosiddetta clinical competence, che impatta sulla sicurezza degli interventi, sulla specializzazione, sulla casistica minima necessaria perché un professionista possa sviluppare un’esperienza sufficiente a garantire la sua competenza. Il riordino della rete ospedaliera non può prescindere da queste valutazioni.
  • Ma in ciò che dice che cosa realmente rientra nel quotidiano discorso-sanità, quello che interessa i cittadini?
    Direi tutto: medici, ospedali, case della salute, strutture intermedie, domiciliarità, lungodegenze. Soprattutto ci sta una nuova lettura dell’integrazione tra sociale e sanitario. Sia da un punto di vista concettuale che organizzativo e di risorse economiche. Su questo il dibattito necessita di un’accelerazione.
  • Che cosa manca, a Piacenza, per avere una sanità di eccellenza, per ricorrere a una espressione (anche da noi) abusata?
    Senza i numeri, i chirurghi migliori se ne vanno. Senza i numeri, i chirurghi migliori non arrivano. Poi sarebbe buona cosa ampliare il focus dai luoghi di cura ai percorsi di cura, perché oggi la principale barriera ai primi non è la distanza ma la complessità del percorso. Aggiungiamo, inoltre, la necessità di passaggio dalla medicina di attesa alla medicina di iniziativa e il quadro comincia a prendere davvero forma. Dire di ‘iniziativa’ significa entrare nel campo della prevenzione: le persone vanno intercettate e inserite nei percorsi. Questione di salute dei singoli e di spese collettive, che nel caso di trattamento in fase acuta lievitano a livello esponenziale. Non possiamo poi non parlare di presìdi e territorio, che non possono essere alternative rispetto all’offerta, ma nodi di un percorso complesso che accompagna la persona dal controllo preventivo alla fase post acuta, fino alla cronicizzazione.
  • Assessore Cugini, dica: è realistica l’ipotesi di un nuovo ospedale a Piacenza? Non pochi ricordano l’iter laborioso, e laborioso è un eufemismo, che ha accompagnato il completamento del Polichirurgico.
    Sul tema è giusto, secondo me, cominciare a dibattere oggi, con una prospettiva che considera un orizzonte di 8/10 anni. Una struttura in centro storico, come quella attuale, è fuori dal tempo, con un nucleo antico che costa centinaia di migliaia di euro all’anno solo da un punto di vista energetico. Soldi che devono essere diversamente impegnati: in tecnologia, medicinali, dispositivi, ricerca. Possibile, con uno scenario del genere, che ci siano ancora i cultori del ‘NO’ buono per tutte le stagioni? Giustificare con i milioni/miliardi spesi nel vecchio ospedale la contrarietà a ragionare su un futuro nuovo impianto è semplicemente ridicolo. Certo, bisogna prima capire bene come si intenderà recuperare l’area attuale, una volta dismessa (ma vogliamo pensare che sfida avvincente sarebbe?). Di sicuro servono garanzie preventive sulla quota di fabbisogno finanziario che la Regione si impegnerà a coprire e sul fatto che il percorso di realizzazione della nuova struttura non influenzi negativamente gli investimenti sul presidio esistente (e qui ci giochiamo la nostra abilità di smascherare eventuali bluff). C’è tempo e ci sono le teste per farlo.
  • Da assessore non si è accorto, anche in tema di sanità, di rappresentare ‘l’ultima provincia’ di una regione opulenta e tuttavia distratta nei nostri confronti?
    Senta, accettiamo la scommessa o ci lamentiamo, ancora e sempre, di essere la povera Cenerentola, anche quando finalmente ci hanno invitato con tutti gli onori al ballo? Sta a noi dimostrare che la proposta non sarà una favola: la politica non deve mollare la presa su questi temi. Solo presidiandoli con visione, competenza e autorevolezza garantiremo ai nostri cittadini un futuro davvero in salute.