dispacci resistenti, società
Lucciole per lanterne

cause ed effetti

"La politica non si salva con le frasi a effetto, ma con il cuore e la passione di chi sente il privilegio, nei diversi ruoli, di rappresentare una comunità intera. Con la disponibilità di chi coglie il dovere di creare condizioni e occasioni per gli adulti del futuro. Con serietà, piedi per terra e coscienza di cosa vuol dire essere "cittadino". Chi ama la politica cerca le persone, non le categorie. Chi ama la politica, prova a unire.”

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% CSX al 4 marzo 2018

| Sinistra disorientata

Quando avremmo dovuto, non siamo stati capaci di creare consapevolezza, di abbinare dignità, equità sociale, progetti e regole; di impedire, i proseliti agli sciacalli della paura.

Il caso Aquarius è solo l’ultimo. Per ora.

Non ce l’ho con Matteo Salvini, da cui tutto mi separa, vedi il cinismo e la spregiudicatezza, mascherati da buonsenso e amor patrio, con cui si è preso il Paese, parlando alle pance di un elettorato orfano di valori ed esempi credibili. Fossi anzi un elettore di Matteo Salvini (ipotesi probabile quanto quella che mi sia assegnato il Nobel per la fisica) oggi sarei ampiamente soddisfatto di uno che alle promesse, sul tema di specie, sta facendo seguire i fatti. Non entro nel merito di una linea che per me è aberrante, ma non fingo di non vedere il dato di realtà.

A sinistra, imperterriti, confondiamo causa ed effetto. Questo Matteo Salvini, è il secondo: è un effetto. La causa, se parliamo di politiche migratorie, è un’Europa egoista, che scarica responsabilità sui partner più deboli o dal cuore più grande, proprio su un tema che poteva/potrebbe essere il più bel banco di prova per dimostrarsi qualcosa di più di un’accozzaglia di tecnocrati tenuti insieme dall’alta finanza.

Anni di “palla avvelenata” facendosi scudo dietro una normativa demenziale, che aggiunge alla disgrazia di esseri umani disperati la condizione di prigionieri dello Stato di primo approdo. Bruxelles, che da tempo approfitta dello spirito di solidarietà degli italiani, quasi inarrivabile, sta dando prova di una condotta senza prospettiva, forte coi deboli e debole coi forti e i prepotenti, quelli che se ne fregano, si smarcano o s’inventano regole di comodo.

Dobbiamo avere il coraggio di dirlo, a quest’Europa, da difendere con le unghie e con i denti da nazionalisti e sovranisti vari, che si sta comportando da matrigna irresponsabile.

Effetto. Salvini è un effetto, che parte da lontano, da leggi nazionali mal fatte (Bossi-FIni) ma trova forza nel “nostro” esserci limitati a raffazzonare risposte contingenti, accogliendo senza però chiedersi e pianificare il “durante” e il “dopo”, salvo poi – da brutta copia dell’originale – frenare gli ingressi, andando a trattare con bande d’oltre mare, tronfi di un risultato per cui abbiamo finto di non sapere che, purché questa gente non sbarcasse più sulle nostre coste, il saldo avrebbe previsto umanità affamata, brutalizzata, uccisa “a casa sua”, ancor prima di salirci, sulle carrette del Mediterraneo. Lamentarsi ora, o additare il popolo bue, è follia.

Quando avremmo dovuto, non siamo stati capaci di creare consapevolezza, di abbinare dignità, equità sociale, progetti e regole; di impedire, con politiche sensate, di fare proseliti agli sciacalli della paura, della guerra tra poveri.

Ci siamo bastati nella nostra idea di aver ragione. Arroganti, come la Francia, il cui coraggio di farci la morale mi ripugna. Come la signora Merkel, alla cui ammissione tardiva di averci lasciati soli, vorrei poter rispondere guardandola negli occhi. Basta con le prediche ipocrite, perché – davvero – la misura è colma.

Ogni manifestazione, qualunque simposio di persone che mira a rivendicare diritti, che guarda ai ponti e non ai muri, ha la mia solidarietà e il mio pieno appoggio. Ma stiamo attenti a che sventolare bandiere contro il Matteo Salvini di turno non finisca per essere uno dei tanti modi per lavarsi le coscienze a poco prezzo. Quando arriverà il momento di mirare in alto? Quando la protesta civile si sposterà a Strasburgo, a Bruxelles, alle Nazioni Unite?

Il pianeta è pieno di guerre, morti, fame e povertà, di trafficanti d’armi cui le industrie (pure le nostre) forniscono materie prime in abbondanza. Viviamo un mondo di disuguaglianze aberranti, di diritti violati, di egoismo diffuso.

Leviamoci le fette di salame dagli occhi. Se la smettessimo per un attimo di schiumare rabbia contro un Matteo Salvini qualsiasi, vedremmo che siamo perdenti perché ci manca una visione di società, di mondo, di umanità, una proposta strutturata e di prospettiva, che legga e risolva le cause di questi disvalori, senza accontentarsi di puntare il dito contro effetti sempre diversi eppure così uguali tra loro.

Meteore che alimentano e frustrano speranze o seminano odio per tornaconto personale, costruendo carriere politiche che durano una vita.

I motivi per ripartire sono più alti e più nobili. Ma bisogna capirlo, convincersene e aver voglia di rischiare.

casta e dintorni, dispacci resistenti, open consiglio
Porta lontano il tuo Dio

E se un islamico deve pregare il suo Dio, dove andrà a farlo?

Domanda secca del giornalista a Luca Zandonella, assessore leghista alla sicurezza, identità e tradizioni del Comune di Piacenza.

La risposta non richiede interpretazioni:

Ci saranno le zone eventualmente tutte idonee in futuro in cui, d’accordo con le associazioni, troveremo degli spazi idonei, magari anche lontano dalle zone residenziali che possono disturbare i piacentini. E noi non siamo ovviamente contro nessun tipo di religione.

Piacenza in camicia verde

nuovi cittadini, partecipazione, società
Banalità rivoluzionarie

M5S vignetta profughiGiorni fa ho commentato su Facebook un’incommentabile vignetta con la caricatura di tre migranti, più simili a scimmie che a persone.

Ingenuo io a stupirmi di alcune giustificazioni, dei ma anche” tesi a rendere potabili espressioni bandite dal buon gusto.

Orbene, che ognuno abbia i propri pareri, a ogni latitudine ideologica, va da sé, ma come si decide di esprimerli, e come si accetta il contraddittorio, qualificano la narrazione e il livello del dibattito pubblico.

 

Non è tema da poco, perché incide sulla disaffezione di chi non si concepisce come un ultras da stadio e investe colpevoli ammiccamenti a posizioni estremiste.

C’è chi mi ha apostrofato perché “quando c’è un problema che non si sa o non si vuole risolvere, si demonizza chi denuncia la cosa”. O, peggio, chi ha riconosciuto “una vignetta infelice e becera” ma l’ha sdoganata, sorvolando su un’iconografia da ventennio fascista, dato che “per far presa sul popolino idiota, serve anche questo (…) siamo a livelli molto bassi e per far capire il senso di alcune cose, serve scendere ancora più in basso”.

Sarà, ma io la penso esattamente al contrario. Alcune scempiaggini si disinnescano ignorandole; fare spallucce su altre è invece una connivenza che rinnego.

Chi parla di “popolino idiota” non meriterebbe repliche. È la sciocca arroganza di chi vuole ancora più profondo il solco tra società e politica.

Sulla necessità poi di abbassare ancora il livello, ociù ragass che la banalità del male genera mostri e l’abitudine a certe retoriche confonde e spinge verso chine pericolose.

Viviamo tempi volgari: internet soppianta i luoghi fisici di dibattito e, protetti dalla tastiera di un computer, coltiviamo un imbarbarimento fatto di argomentazioni povere, linguaggio rozzo e intolleranza per le altrui opinioni.

Ci soddisfiamo nella polemica e nell’invettiva ma siamo sempre meno disposti a impegnarci sul serio. C’è un’architettura respingente, che fomenta il rigetto di chi “subisce” la politica nei confronti di chi la agisce.

A guardare i comportamenti di quelli che dovrebbero essere gli aggregatori di partecipazione, non c’è da stare allegri: i partiti tradizionali, nelle loro varie derivazioni, benché depositari di un enorme patrimonio culturale, faticano a recuperare credibilità, dopo anni persi in tutt’altro che a promuovere competenze e vero ricambio generazionale; non meglio gli apostoli del “nuovo”, ostinati a connotarsi con la delegittimazione sistematica dell’avversario e con un arianesimo ideologico inattaccabile e, temo, fine a se stesso.

Va a finire che per andare controcorrente serve il coraggio di tornare a essere un po’ noiosi. Senza scomodare le grigissime tribune degli anni Settanta, ci mancherebbe. Però questo analfabetismo civico di ritorno va pur contrastato in qualche modo.

I populismi e i loro stilemi non si rincorrono, non si sottovalutano, non si ignorano. Si combattono invece, con una nuova resistenza che mira a creare partecipazione consapevole.

La politica cambia la vita della gente: in meglio o in peggio, poco o tanto: ma la cambia. Starsene alla larga è un paradosso. Parimenti, è faccenda complessa e questa complessità va esplicitata, non nascosta dietro a slogan e hashtag.

Le persone hanno diritto ad avere coordinate (loro malgrado, a volte), a essere fornite di strumenti per decodificare la realtà. Devono poter capire che l’oggettività dei dati, l’approfondimento dei limiti e delle possibilità reali, il piano della discussione (locale, regionale, nazionale, internazionale) sono variabili importanti che pesano sulle decisioni di chi amministra.

Su scala generale si è persa la voglia di andare a fondo, di capire, di elaborare idee a partire da una conoscenza di base. La stessa, capitale, differenza tra democrazia rappresentativa (quale siamo) e plebiscitaria (come qualcuno vorrebbe) è ormai un’idea confusa, che alimenta false aspettative da una parte e alibi deresponsabilizzanti dall’altra.

Chi è eletto non può cercare scappatoie dall’onere/onore di prendere decisioni, magari con sondaggi in rete dove i “si” e i “no” derivano quasi sempre da opzioni indipendenti dalla reale padronanza dell’argomento in questione.

Spendersi per rimediare a un tale cortocircuito è il modo migliore per prendere le distanze da chi fa sterile propaganda. Una strategia che costa fatica e non garantisce un ritorno immediato in termini di consenso.

Sullo “scatto breve”, la serietà avrà sempre la peggio contro la demagogia. Sulla “lunga distanza” invece non può esserci competizione. La fiducia si fonda sulla conoscenza.

Oggi va riconquistata questa fiducia, sudandosela con passione e sacrificio, col sorriso di chi è serio senza essere serioso (i populisti non ridono, troppo presi a cercare nemici e lanciar crociate!), privilegiando il confronto critico ai proselitismi, l’assunzione di responsabilità alla bulimia referendaria, la cultura e un certo stile alla trivialità di messaggi pret a porter, buoni solo a solleticare le pulsioni del momento.

Banalità rivoluzionarie, mi vien da dire…

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nuovi cittadini
PROFUGHI e leggende urbane
Noi dobbiamo essere quelli che girano tra la gente, tendono le mani, lanciano messaggi, mostrano volti, propongono esempi. Partigiani dell’azione civile in un mondo con poca memoria, che prova ostinato a ripetere errori passati. ‪”Mai piú‬” o si costruisce giorno per giorno, o resta uno slogan che sa di muffa e ipocrisia.- Stefano Cugini

RumorsCome i coccodrilli nelle fognature, l’autostoppista fantasma e le teorie del complotto, si sta diffondendo a Piacenza la nuova leggenda urbana sui profughi.

30 euro al giorno più 2,50 euro per le sigarette e tariffe agevolatissime per l’uso del cellulare. Questo sarebbe il trattamento riservato, in spregio alla crisi e alle difficoltà dei piacentini.

Il punto è, come per ogni leggenda che si rispetti, che qualcuno ci crede. Ok allora, smontiamo la favola una volta per tutte. NON E’ VERO NIENTE. Che sia chiaro, perché credere a ‘sta fandonia destabilizza.

Chi la butta in giro allora? Due categorie di imputati: gli ignoranti e gli sciacalli della politica (eh già, siam sotto elezioni). 30 euro al giorno vanno in tasca a quelli che si occupano del vitto e dell’alloggio. Purtroppo con la crisi la fila di alberghi, ostelli, bed & breakfast, agriturismo disposti a rispondere “presente” per 30 € è lunga.

Si può essere d’accordo o meno ma è un dato di fatto che sono soldi che tornano in circolo a dare ossigeno ad attività alberghiere e di ristorazione locali.

I profughi vedono i 2,50 euro. Nessuna tariffa agevolata per l’uso del cellulare, solo una scheda telefonica per una telefonata intercontinentale.

Per questa nuova emergenza l’Amministrazione non distoglie un euro al sistema di welfare territoriale. Stiamo continuando con la linea dell’equilibrio tra solidarietà umana ed equità sociale e non abbiamo intenzione di assecondare chi vorrebbe scindere i due principi. Abbiamo dato risposte molto nette di fronte ai casini degli ultimi tre mesi e nessuno sta ottenendo dal Comune di Piacenza favoritismi di alcun tipo, né li riceverà in futuro.

Se poi da Roma o da Bruxelles arriveranno progetti specifici e relative risorse, questo è un altro paio di maniche.

A chi non ha altri argomenti se non attaccare un certo buonismo, ricordo che la responsabilità della gestione dei nuovi arrivi è in capo alle Prefetture, che amministrano i fondi, individuano i gestori privati e tirano le fila dei rapporti con i soggetti disponibili a fornire aiuto e accoglienza.

I “punti di raccolta” decisi dal Ministero sono i comuni capoluogo. Questo vuol dire che i flussi sono indirizzati qui a Piacenza. Siamo d’accordo? Non siamo d’accordo? Siam buoni o cattivi? Chissenefrega! Il Ministero mica ci chiede il permesso in anticipo, anzi: di solito siamo informati a stretto giro dall’arrivo dei pullman.

Preso atto di ciò, abbiamo detto subito al Presidente della Provincia e a tutti i Sindaci degli altri Comuni: “signori, un po’ per uno“. La Prefettura ha condiviso e si è attivata per favorire il confronto.

Risultato? A parte pochi illuminati, per il resto sonore pernacchie. Molte scuse, alcune delle quali sarebbe un insulto all’intelligenza definire credibili.

Vuoi mettere quanto è facile dire “non li vogliamo, stiano a casa loro” e lasciarci con il cerino in mano? Oltre il conto ci sono le elezioni, l’occasione perfetta per dar fiato agli slogan e perdere il coraggio di assumersi le responsabilità meno popolari, ancorché necessarie.
Povera Italia

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nuovi cittadini
PROFUGHI. Passa la linea di Piacenza
Noi dobbiamo essere quelli che girano tra la gente, tendono le mani, lanciano messaggi, mostrano volti, propongono esempi. Partigiani dell’azione civile in un mondo con poca memoria, che prova ostinato a ripetere errori passati. ‪”Mai piú‬” o si costruisce giorno per giorno, o resta uno slogan che sa di muffa e ipocrisia.- Stefano Cugini

profughi richiedenti asiloLa linea del Comune di Piacenza circa l’accoglienza dei richiedenti asilo, da gestire su scala provinciale pare finalmente passata.

Non saremo chiamati ad affrontare da soli i nuovi arrivi. Oggi costruttiva riunione in Prefettura.

Ricordo che è una finta soluzione quella di dire “non li vogliamo”. Sospendendo un attimo ogni giudizio morale (per me l’accoglienza resta un valore assoluto, riferita a chiunque sia in stato di bisogno), il dato di fatto è che il Governo centrale organizza gli smistamenti e questi ragazzi, in un modo o nell’altro, te li trovi sul territorio.

Dovere dell’amministrazione è presidiare questo territorio a tutela di tutti i suoi abitanti.

Prima tradurremo in atti concreti la necessaria collaborazione tra istituzioni e meglio sarà per tutti.

 

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nuovi cittadini, rassegna stampa, società
PROFUGHI: lettera aperta a Matteo Renzi
Non importa quello che stai guardando, ma quello che riesci a vedere.- Henry David Thoreau

aylan

Caro Matteo,
scuserai la mancanza della formalità dovuta al capo del Governo, ma qui siamo in prima linea, con le maniche tirate su e gli occhi pesti per il poco sonno.

I nuovi sbarchi sulle nostre coste hanno costretto il ministero dell’interno a smistare nelle provincie d’Italia un nuovo carico di miseria e disperazione. Non ti scomodo perché qui a Piacenza non sappiamo cosa fare. La mia non è una richiesta di aiuto. Anzi, chi ti scrive è un positivo, un servitore della Pubblica amministrazione animato di quell’ottimismo ignorante che non sente ragione e cerca la luce che abbaglia in fondo al tunnel, anche se ‘sta caspita di galleria sembra non voler finire mai.

A Piacenza non ci stiamo a rimandare i problemi, a scaricarli solo su qualcun altro. Noi facciamo la nostra parte: col poco che abbiamo e con tutta la volontà di cui siamo capaci.

Siamo orgogliosi del nostro impegno e non abbiamo paura a dire le cose in modo chiaro, anche quando suonano impopolari.

Quando faremo davvero l’Europa? Ecco il motivo della lettera: farti questa domanda.

Vedi Matteo, è ora di far capire a quei freddi burocrati che stavolta dietro alla lavagna devono andarci loro. Nessun Paese può e deve sentirsi sollevato dalla sua quota di responsabilità in tema di immigrazione.

Perché la guerra tra poveri che la loro spocchiosa indifferenza rischia di portare sul nostro territorio è ipotesi tutt’altro che remota. Non è solo una questione di soldi, ma di sistema, di vera cultura comunitaria.

L’Italia non è un Paese razzista, ma stanco e costretto a raschiare il barile. Condizioni non ideali per ragionare in modo lucido. Terreno fertile per le sentenze senza impegno e responsabilità di populisti e xenofobi. Quando anche la signora Maria si scopre insofferente e crede di essere sempre in coda alla fila, significa che siamo vicini al collasso.

Guai ad arrendersi. È nostro compito far capire che non solo è possibile, ma doveroso tenere insieme concetti come equità sociale e solidarietà umana. Abbiamo una sola strada davanti: stare vicino ai nostri cittadini dimostrandoci credibili, elevando il valore dell’esempio, dando visioni e qualità.

Siamo italiani: l’emigrazione la conosciamo bene. Siamo l’Italia, patria di cultura e civiltà. Un Paese civile, una comunità matura, non si voltano dall’altra parte di fronte alle sofferenze di qualcuno, non importa da dove arrivi.

Per evitare però che il senso di abbandono faccia vedere il nemico in tutto ciò che è altro, un’Amministrazione deve essere messa nelle condizioni di farsi carico di tutta la sua gente, di programmare percorsi efficaci, di non lasciare indietro nessuno.

Non possiamo sfinirci nel tentativo di mettere continue pezze alle contingenze.
Hai una bici difficile da guidare, Matteo. Pedala, pedala forte e arriva a Bruxelles stremato, con le ciocche sulle mani e le gambe a pezzi. Entra nel Palazzo con tutte le nostre fatiche sulle spalle e mettili in un angolo.

Quali speranze, risorse, opportunità, regole e garanzie offrire a chi vive in Europa (e a chi sogna di viverci) è tema da condividere senza ulteriori indugi.

L’Italia è una porta d’ingresso, ma la casa ha confini molto più estesi: altrimenti questa casa è realtà solo nelle nostre intenzioni. Se qualcuno a quelle latitudini pensa di continuare a lavarsene le mani, tocca a te fargli capire che il vento è davvero cambiato.

Buon lavoro, presidente.

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