partecipazione, società
CARCERE. Messi alla prova, la giustizia di comunità
Se un risultato arriva senza fatica, é più frutto di fortuna che merito. La fortuna va bene ma non educa. Il merito richiede sforzi ma ricambia in consapevolezza e soddisfazione.- Stefano Cugini

carcere salviaA giugno 2014 SVEP ha attivato il Protocollo d’Intesa Sperimentale insieme all’Ufficio E.P.E. di Reggio Emilia, Parma e Piacenza, in collaborazione con alcune Organizzazioni di Volontariato e con la Camera Penale di Piacenza.

Con la firma del protocollo SVEP ha sottolineato l’importanza di sostenere una nuova idea di giustizia, la cosiddetta Giustizia Ripartiva (Restorative Justice), la quale rappresenta un percorso complesso che richiede un forte coinvolgimento della comunità locale, non solo sul piano tecnico, ma anche su quello culturale.

Ora, a distanza di più di un anno dalla firma del Protocollo, SVEP ha ritenuto di redigere una relazione di sintesi circa l’andamento quantitativo e qualitativo dell’attività prevista all’interno del documento e, in occasione della presentazione dello stessa, ha inteso organizzare un seminario di approfondimento rivolto alle organizzazioni di volontariato, agli avvocati, alle persone in messa alla prova, alla cittadinanza.

Quello che segue è il mio contributo alla pubblicazione:

“Bisognerebbe chiuderli in cella e buttar via la chiave!” Quante volte lo abbiamo sentito dire e, ammettiamolo, quante volte lo abbiamo pensato. Di fronte all’efferatezza di alcune cronache, il pensiero euristico non ha rivali e la lex talionis suona così giusta, specie se condita con benaltrismo abbondante e q.b. di demagogia.

C’è sempre qualcosa di più importante – oggi – cui pensare, piuttosto che a galeotti desiderosi di condizioni trattamentali migliori. Chi sbaglia paga; azione e reazione: ecco la ricetta pronta all’uso, in una società allergica alla complessità dei sistemi e degli ambienti. In barba a un certo buonismo dedito alle cause perse, sordo con gli onesti, oltraggioso verso le vittime.

Con queste premesse, parlare oggi di giustizia riparativa e di contestualizzazione dell’universo carcere nel tessuto sociale di un territorio è tanto contro-intuitivo quanto doveroso. Spostare l’oggetto dell’intervento, dal colpevole al danno prodotto, per esorcizzarne gli effetti, è una prova che solo una collettività matura può sperare di superare nel suo stesso, primario, interesse.

Da amministratore m’impegno molto a trasmettere l’importanza dell’agire condiviso, conscio che troppa autoreferenzialità, a più livelli, ci ha portato a perdere di vista i veri obiettivi, tra i quali diffondere cultura del vivere insieme, valori morali, educazione civica. Senza scomodare il “pensiero laterale”, i bisogni si leggono meglio se si ragiona in prospettiva, se si guarda avanti, oltre l’ovvio. Altrimenti è solo piccolo cabotaggio. In questo caso, foss’anche per mero calcolo e sospendendo sensibilità più alte, è piuttosto semplice cogliere non solo i costi, ma i ricavi sociali di modelli mirati al reinserimento e all’analisi critica del male fatto.

Non si può certo dire lo stesso per la “linea dura”, dove isolamento e repressione limitano i loro effetti alla contingenza di un periodo, restituendo poi soggetti ancora più emarginati e inclini alla recidiva. Eppure chi sostiene l’inasprimento delle pene in nome di una “tolleranza zero” nei fatti impraticabile, ha gioco facile sul sentire comune.

La tendenza a generalizzare che caratterizza questi tempi grami livella tutto e anche chi si è macchiato di colpe minori, ma ha in sé spazi di riscatto, per molti non merita sorte diversa dal criminale più incallito. Curiosa (e autolesionista) questa brama di infierire su chi, presto o tardi, sarà chiamato a un nuovo confronto con la società. Si tratta di un ritorno alla vita che va preparato con azioni mirate dentro il carcere e fuori dalle mura: occorrono sinergie, iniziative coordinate che accompagnino le persone a capire e volersi rimettere in carreggiata. Serve una semina, che parte dal garantire il rispetto della dignità e dell’umanità, il riempimento del tempo e degli spazi con attività motivanti, laddove il CPT indica come linea prioritaria “assicurare che i detenuti negli istituti di custodia cautelare possano trascorrere una ragionevole parte della giornata – 8 ore o più – fuori dalla cella”.

Nulla di tutto ciò è scontato. Anzi, si tratta di uno schema che impone un salto culturale non banale. È impellente quindi un coro di voci pronte a farsi eco; soggetti che si assumono responsabilità, votati a trasmettere ai cittadini le ragioni per cui è dannoso considerare quella carceraria una dimensione avulsa dal resto e antieconomico immaginare che la soluzione stia nel costruire nuove strutture.

Attraverso l’attività extra muraria, le persone possono essere coinvolte in opere gratuite di pubblico interesse, mentre i giovani che hanno abusato di alcol o psicotropi, la grande maggioranza dei “messi alla prova”, hanno l’occasione di espiare la pena senza entrare in contatto diretto con la detenzione vera e propria, (esperienza che può cambiare pericolosamente la vita).

Queste peculiarità rendono l’esecuzione penale esterna la metà di sfida più avvincente. Il nuovo corso, dentro le carceri, dipende solo – purtroppo – dalla lungimiranza delle singole direzioni e non può, se non in presenza di un volontariato particolarmente autonomo, critico e propositivo, essere influenzato dai cittadini.

Al contrario, tutte le azioni proiettate verso l’esterno vivono proprio sul coinvolgimento diffuso, trasformandosi in straordinarie occasioni di presa di coscienza e crescita collettiva, cui le amministrazioni, il terzo settore, i corpi intermedi sono chiamati a dedicarsi con la diligenza del “buon padre di famiglia”.

Far maturare una comunità e renderla strutturalmente più coesa e sicura non passa quasi mai dalle soluzioni semplici e più popolari: ciò nondimeno, una volta colte, le opportunità sono destinate a moltiplicarsi.

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CARCERE. A Piacenza il più alto numero di “messi alla prova”
La politica non si salva con le frasi a effetto, ma con il cuore e la passione di chi sente il privilegio, nei diversi ruoli, di rappresentare una comunità intera. Con la disponibilità di chi coglie il dovere di creare condizioni e occasioni per gli adulti del futuro. Con serietà, piedi per terra e coscienza di cosa vuol dire essere “cittadino”. Chi ama la politica cerca le persone, non le categorie. Chi ama la politica, prova a unire.- Stefano Cugini

carcereCarcere, oggi in sala consiglio riunione del clepa (Comitato locale esecuzione penale adulti).

La rappresentante dell’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) ha fatto i complimenti a #piacenza, una delle città della Regione Emilia-Romagna con il più alto numero di soggetti #messiallaprova.

La messa alla prova è una scommessa molto importante, che si rivolge soprattutto a una fascia giovane di persone, cercando di prevenire il radicarsi e il ripetersi di comportamenti deviati”.

Con la sospensione del procedimento, l’imputato viene affidato all’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie:

 

 

  • l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività;
  • l’attuazione di condotte riparative, volte a eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato;
  • il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato.

Il programma può prevedere l’osservanza di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali, oltre a quelli essenziali al reinserimento dell’imputato e relativi ai rapporti con l’ufficio di esecuzione penale esterna e con eventuali strutture sanitarie specialistiche.

Al termine del periodo fissato, il giudice valuta in udienza l’esito della prova e, in caso positivo, dichiara l’estinzione del reato. (dal sito del Ministero della Giustizia).

Noi ci crediamo, per noi il carcere deve essere rieducazione e reinserimento.

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