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POLITICA: “La mente è stronza”, firmato Beppe Grillo.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società- Art. 4 Costituzione

beppe grillo

 

La mente è stronza, il cervello é debole. Ma c’è un cervello che non sbaglia mai, ce l’hai qua, é il cervello della pancia

Così parlò Giuseppe Piero Grillo, detto Beppe. In un amen, il nuovo manifesto si fa verbo, post ideologico con la bava alla bocca, frulla e incendia i piccoli e grandi Trump, Putin, Farage, Salvini che sono dentro di noi.

L’elogio della mediocrità macha, incazzata, forcaiola e onnicomprensiva. Molte urla, qualche gag e quegli incidenti di percorso chiamati secolo dei lumi, razionalismo, positivismo, spazzati via da un “vaffa” astuto e incantatore. Questo é il nuovo cyber fideismo gente: autopoietico, autoindulgente ed etero inquisitore.

Sto constatando, sia chiaro. Da libero pensatore, eretico innamorato delle complessità, delle contraddizioni, delle sintesi al rialzo.

Leggo i virgolettati e cerco di elaborare un pensiero critico usando l’unico cervello che ho. Non so se é debole o forte, stronzo o furbo. So che non c’entra con la pancia, che non per niente, cito un anonimo filosofo di strada, é più vicina al culo.

Il tempo, prima o poi, mostra le verità per quel che sono, senza sconti. Sarà così anche stavolta, per tutti. Io, rispetto a chi invoca istintività di massa in un contesto storico/sociale come questo, segno una differenza.

Mi oppongo, guardo da altre prospettive, obietto. Mi preoccupo, coltivo il dubbio e resisto.
Sapere aude!

Ho postato su Facebook queste mie considerazioni e le risposte contenute nei vari commenti mi hanno ahimé confermato le tesi di cui sopra, mostrandomi davvero un fideismo acritico, in cui non ci si soddisfa nel contraddittorio, non si contempla il rispetto per l’altrui opinione, quando questa è diversa. Se non ci si piega, parola per parola, sulle posizioni definite, si è liquidati come chi è dalla parte del torto, con insulti più o meno diretti.

Ne esce una comunicazione sempre e solo mirata a demonizzare l’avversario, non con letture oggettive o precisando, come ho fatto io, quando si tratta di opinione personale. Meme diffusi in rete facendoli passare per verità dogmatiche e autoassolvimento per bufale e sparate ad alzo zero con la necessità di intercettare consenso per realizzare il governo dei giusti.

Niente dubbi sulla bizzarra la teoria che per prendere voti si possa raccontare qualsiasi fandonia, credendo poi che chi la spara più grossa per arrivare a governare si trasformi in un modello di virtù e rettitudine una volta al potere.

Nemmeno una riflessione, non una critica alla ormai enorme mole di incongruenze, parole rimangiate, voltafaccia, bugie, e chi più ne ha più ne metta di un movimento che dipende da una società privata di marketing e che in quanto a malaffare e avvisi di garanzia, in rapporto ai territori governati, ha numeri più alti di chiunque altro.

Certezze incrollabili, che si rinsaldano nell’altrui critica e che mi fanno una paura dannata, perché tutte le vere dittature sono nate così, partendo per salvare il popolo dalla casta e finendo per reprimere il consenso e tentare la strada del pensiero unico.

Attenzione. Per me i venti di destra soffiano forti in tutto il mondo e non mi stancherò un secondo di oppormi a che non succeda altrettanto anche in Italia.

 

nuovi cittadini, partecipazione, società
Banalità rivoluzionarie

M5S vignetta profughiGiorni fa ho commentato su Facebook un’incommentabile vignetta con la caricatura di tre migranti, più simili a scimmie che a persone.

Ingenuo io a stupirmi di alcune giustificazioni, dei ma anche” tesi a rendere potabili espressioni bandite dal buon gusto.

Orbene, che ognuno abbia i propri pareri, a ogni latitudine ideologica, va da sé, ma come si decide di esprimerli, e come si accetta il contraddittorio, qualificano la narrazione e il livello del dibattito pubblico.

 

Non è tema da poco, perché incide sulla disaffezione di chi non si concepisce come un ultras da stadio e investe colpevoli ammiccamenti a posizioni estremiste.

C’è chi mi ha apostrofato perché “quando c’è un problema che non si sa o non si vuole risolvere, si demonizza chi denuncia la cosa”. O, peggio, chi ha riconosciuto “una vignetta infelice e becera” ma l’ha sdoganata, sorvolando su un’iconografia da ventennio fascista, dato che “per far presa sul popolino idiota, serve anche questo (…) siamo a livelli molto bassi e per far capire il senso di alcune cose, serve scendere ancora più in basso”.

Sarà, ma io la penso esattamente al contrario. Alcune scempiaggini si disinnescano ignorandole; fare spallucce su altre è invece una connivenza che rinnego.

Chi parla di “popolino idiota” non meriterebbe repliche. È la sciocca arroganza di chi vuole ancora più profondo il solco tra società e politica.

Sulla necessità poi di abbassare ancora il livello, ociù ragass che la banalità del male genera mostri e l’abitudine a certe retoriche confonde e spinge verso chine pericolose.

Viviamo tempi volgari: internet soppianta i luoghi fisici di dibattito e, protetti dalla tastiera di un computer, coltiviamo un imbarbarimento fatto di argomentazioni povere, linguaggio rozzo e intolleranza per le altrui opinioni.

Ci soddisfiamo nella polemica e nell’invettiva ma siamo sempre meno disposti a impegnarci sul serio. C’è un’architettura respingente, che fomenta il rigetto di chi “subisce” la politica nei confronti di chi la agisce.

A guardare i comportamenti di quelli che dovrebbero essere gli aggregatori di partecipazione, non c’è da stare allegri: i partiti tradizionali, nelle loro varie derivazioni, benché depositari di un enorme patrimonio culturale, faticano a recuperare credibilità, dopo anni persi in tutt’altro che a promuovere competenze e vero ricambio generazionale; non meglio gli apostoli del “nuovo”, ostinati a connotarsi con la delegittimazione sistematica dell’avversario e con un arianesimo ideologico inattaccabile e, temo, fine a se stesso.

Va a finire che per andare controcorrente serve il coraggio di tornare a essere un po’ noiosi. Senza scomodare le grigissime tribune degli anni Settanta, ci mancherebbe. Però questo analfabetismo civico di ritorno va pur contrastato in qualche modo.

I populismi e i loro stilemi non si rincorrono, non si sottovalutano, non si ignorano. Si combattono invece, con una nuova resistenza che mira a creare partecipazione consapevole.

La politica cambia la vita della gente: in meglio o in peggio, poco o tanto: ma la cambia. Starsene alla larga è un paradosso. Parimenti, è faccenda complessa e questa complessità va esplicitata, non nascosta dietro a slogan e hashtag.

Le persone hanno diritto ad avere coordinate (loro malgrado, a volte), a essere fornite di strumenti per decodificare la realtà. Devono poter capire che l’oggettività dei dati, l’approfondimento dei limiti e delle possibilità reali, il piano della discussione (locale, regionale, nazionale, internazionale) sono variabili importanti che pesano sulle decisioni di chi amministra.

Su scala generale si è persa la voglia di andare a fondo, di capire, di elaborare idee a partire da una conoscenza di base. La stessa, capitale, differenza tra democrazia rappresentativa (quale siamo) e plebiscitaria (come qualcuno vorrebbe) è ormai un’idea confusa, che alimenta false aspettative da una parte e alibi deresponsabilizzanti dall’altra.

Chi è eletto non può cercare scappatoie dall’onere/onore di prendere decisioni, magari con sondaggi in rete dove i “si” e i “no” derivano quasi sempre da opzioni indipendenti dalla reale padronanza dell’argomento in questione.

Spendersi per rimediare a un tale cortocircuito è il modo migliore per prendere le distanze da chi fa sterile propaganda. Una strategia che costa fatica e non garantisce un ritorno immediato in termini di consenso.

Sullo “scatto breve”, la serietà avrà sempre la peggio contro la demagogia. Sulla “lunga distanza” invece non può esserci competizione. La fiducia si fonda sulla conoscenza.

Oggi va riconquistata questa fiducia, sudandosela con passione e sacrificio, col sorriso di chi è serio senza essere serioso (i populisti non ridono, troppo presi a cercare nemici e lanciar crociate!), privilegiando il confronto critico ai proselitismi, l’assunzione di responsabilità alla bulimia referendaria, la cultura e un certo stile alla trivialità di messaggi pret a porter, buoni solo a solleticare le pulsioni del momento.

Banalità rivoluzionarie, mi vien da dire…

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