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ASILI NIDO. A Piacenza sono e resteranno un servizio educativo
Ci spaventano le cose che non conosciamo, ma a volte è meglio conoscere una cosa per provarne una sana e consapevole paura.- Stefano Cugini

freepik bambini clearLe polemiche strumentali di chi conosce (o dovrebbe) la realtà dei fatti e chiede cose fuori portata mi lasciano quel senso di disagio umidiccio e appiccicoso.

Altra cosa sono le preoccupazioni delle famiglie che si interrogano su temi di valore. Non ho e non avrò mai risposte buone per tutte le stagioni: posso solo portare il mio pezzettino di contributo al confronto.

La gestione degli asili nido in capo ai servizi sociali pare proprio un atto di lesa maestà e un attentato alla logica educativa che deve giustamente qualificare il servizio. Premesso che ho cominciato a lavorare in una situazione già definita, non ponendomi in tutta sincerità il tema di questa distinzione, penso per principio che, al di la delle categorie, sia la sostanza delle azioni messe in campo a qualificare un intervento in un senso o nell’altro.

Negli anni Settanta le battaglie sostenute e vinte hanno sicuramente avuto la loro ragion d’essere e per questo dobbiamo ringraziare i protagonisti di allora. Oggi però le condizioni sono diverse e certi elementi di rischio superati.

Tanto nel bene, quanto nel male, è la qualità del lavoro svolto a incidere sull’educazione dei bambini, non certo l’assessorato di riferimento. La stessa Regione Emilia Romagna, amministrazione punto di riferimento in Europa quando si parla di servizi per l’Infanzia, ha da anni in capo all’Assessorato al Welfare la responsabilità politico-amministrativa sul settore e gia questo potrebbe convincerci della bontà della scelta adottata dall’Amministrazione Dosi.

Ciò detto, mi preme rassicurare circa alcuni punti fermi: i nidi a Piacenza sono e resteranno un servizio a valenza prevalentemente educativa. Questa è la nostra storia e la nostra cultura che in nessun modo vogliamo svendere o modificare.

L’impianto normativo, le direttive regionali, le regole di funzionamento, gli standard di qualità, l’organizzazione dei servizi, le professionalità impiegate, i progetti in campo nei due anni passati (e nei prossimi a venire) non hanno subito alcuna modifica che possa indicare una strada diversa da quella che, coraggiosamente, la nostra città ha da tempo intrapreso in merito alla promozione e gestione dei servizi di nido.

La struttura operativa del Comune, il dirigente capo, i vari responsabili di area, i coordinatori pedagogici sono rimasti gli stessi. E lavorano esattamente come prima, anzi più di prima per fronteggiare con il massimo impegno le difficoltà del momento.

Nessun organismo di scala sovracomunale che ha competenze sulla materia (Provincia e Regione) ha registrato assenze o disimpegni del Comune di Piacenza. Anzi.

Che cosa è successo allora? Semplicemente si è voluto, come nell’Amministrazione regionale, creare la miglior condizione utile a garantire il futuro di questi servizi incardinandone la responsabilità politica esattamente là dove si programmano tutti i servizi alle persone e alle famiglie di questa città.

E’ una scelta di garanzia per gli stessi nidi e soprattutto per i bambini e i loro genitori. E i due anni che abbiamo alle spalle ne sono la prova più convincente.

Lungi da me l’idea di improvvisarmi pedagogista, mi sento comunque di sostenere questa scelta che non solo non ha arretrato di un millimetro la centralità educativa dei servizi, ma mira a garantirne e migliorarne – laddove possibile – il futuro.

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nuovi cittadini, rassegna stampa, società
PROFUGHI: lettera aperta a Matteo Renzi
Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta.- Dante Alighieri, Inferno, canto III

aylan

Caro Matteo,
scuserai la mancanza della formalità dovuta al capo del Governo, ma qui siamo in prima linea, con le maniche tirate su e gli occhi pesti per il poco sonno.

I nuovi sbarchi sulle nostre coste hanno costretto il ministero dell’interno a smistare nelle provincie d’Italia un nuovo carico di miseria e disperazione. Non ti scomodo perché qui a Piacenza non sappiamo cosa fare. La mia non è una richiesta di aiuto. Anzi, chi ti scrive è un positivo, un servitore della Pubblica amministrazione animato di quell’ottimismo ignorante che non sente ragione e cerca la luce che abbaglia in fondo al tunnel, anche se ‘sta caspita di galleria sembra non voler finire mai.

A Piacenza non ci stiamo a rimandare i problemi, a scaricarli solo su qualcun altro. Noi facciamo la nostra parte: col poco che abbiamo e con tutta la volontà di cui siamo capaci.

Siamo orgogliosi del nostro impegno e non abbiamo paura a dire le cose in modo chiaro, anche quando suonano impopolari.

Quando faremo davvero l’Europa? Ecco il motivo della lettera: farti questa domanda.

Vedi Matteo, è ora di far capire a quei freddi burocrati che stavolta dietro alla lavagna devono andarci loro. Nessun Paese può e deve sentirsi sollevato dalla sua quota di responsabilità in tema di immigrazione.

Perché la guerra tra poveri che la loro spocchiosa indifferenza rischia di portare sul nostro territorio è ipotesi tutt’altro che remota. Non è solo una questione di soldi, ma di sistema, di vera cultura comunitaria.

L’Italia non è un Paese razzista, ma stanco e costretto a raschiare il barile. Condizioni non ideali per ragionare in modo lucido. Terreno fertile per le sentenze senza impegno e responsabilità di populisti e xenofobi. Quando anche la signora Maria si scopre insofferente e crede di essere sempre in coda alla fila, significa che siamo vicini al collasso.

Guai ad arrendersi. È nostro compito far capire che non solo è possibile, ma doveroso tenere insieme concetti come equità sociale e solidarietà umana. Abbiamo una sola strada davanti: stare vicino ai nostri cittadini dimostrandoci credibili, elevando il valore dell’esempio, dando visioni e qualità.

Siamo italiani: l’emigrazione la conosciamo bene. Siamo l’Italia, patria di cultura e civiltà. Un Paese civile, una comunità matura, non si voltano dall’altra parte di fronte alle sofferenze di qualcuno, non importa da dove arrivi.

Per evitare però che il senso di abbandono faccia vedere il nemico in tutto ciò che è altro, un’Amministrazione deve essere messa nelle condizioni di farsi carico di tutta la sua gente, di programmare percorsi efficaci, di non lasciare indietro nessuno.

Non possiamo sfinirci nel tentativo di mettere continue pezze alle contingenze.
Hai una bici difficile da guidare, Matteo. Pedala, pedala forte e arriva a Bruxelles stremato, con le ciocche sulle mani e le gambe a pezzi. Entra nel Palazzo con tutte le nostre fatiche sulle spalle e mettili in un angolo.

Quali speranze, risorse, opportunità, regole e garanzie offrire a chi vive in Europa (e a chi sogna di viverci) è tema da condividere senza ulteriori indugi.

L’Italia è una porta d’ingresso, ma la casa ha confini molto più estesi: altrimenti questa casa è realtà solo nelle nostre intenzioni. Se qualcuno a quelle latitudini pensa di continuare a lavarsene le mani, tocca a te fargli capire che il vento è davvero cambiato.

Buon lavoro, presidente.

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FATTO! 118, la centrale operativa di Piacenza resterà attiva.

sanità 118 blu118: le chiamate saranno per Parma, ma a Piacenza la centrale operativa resterà e si occuperà dei trasporti inter ospedalieri. Ma c’è di più il coordinamento del soccorso nell’Area vasta (Piacenza, Parma e Reggio Emilia) sarà targato Piacenza e, soprattutto, anche le professionalità piacentine entreranno direttamente nell’elaborazione del nuovo sistema tecnologico che, attraverso un input satellitare, renderà puntuali gli interventi ovunque arrivi la chiamata.

118_libertà

E poi quello che in questi anni è stato il fiore all’occhiello degli interventi di soccorso, vale a dire il “Progetto vita” chiamato tecnicamente nel documento la procedura del “codice blu” rappresenterà un esempio da seguire in tutta l’Area vasta.

Piacenza esporta dunque la sua esperienza e il suo know how viene riconosciuto come valore aggiunto della nuova geografia dell’emergenza.

Ma su questo – è stato detto in Comune nell’illustrazione dei contenuti del documento sottoscritto – si dovrà vigilare attentamente, un compito che svolgerà d’ora in poi il Comitato nato per difendere e sostenere l’attività del 118 piacentino.

Il tutto, però, non succederà prima del 2015, infatti il primo accorpamento a partire sarà Reggio Emilia.

«Insieme si vince» – «Se si cammina insieme si vince. E sul 118 Piacenza, istituzioni e associazioni hanno portato a casa un gran risultato. Piacenza si è fatta ascoltare a Bologna e, nero su bianco, la Regione ha riconosciuto la professionalità e le eccellenze piacentine nel campo dell’emergenza».

L’assessore comunale al Welfare Stefano Cugini, presente ieri a Bologna, non cela la soddisfazione mentre, accanto Paolo Rebecchi, coordinatore provinciale Anpas, Mariolina Califano presidente del Comitato che riunisce tutte le associazioni del soccorso e Renato Zurla, presidente provinciale della Croce Rossa dà l’annuncio della firma di un protocollo con la Regione nel quale spiccano alcune questioni significative che sono state il cuore delle rivendivazioni piacentine (il documento è riportato qui sotto integralmente).

Cugini, ripercorrendo gli ultimi giorni di confronto in vista della Conferenza sociale e sanitaria programmata per domani, (i tre documenti sottoscritti saranno illustrati ai sindaci insieme al progetto di area vasta) ha messo l’accento sulla ricerca del dialogo.

Citando un poeta persiano ha detto:

Al di là delle idee di ciascuno esiste un luogo e là incontriamoci

Oggi – ha specificato – quel luogo lo abbiamo trovato e siamo riusciti a fare sintesi nell’interesse della città. Con le nostre proposte siamo stati credibili e il risultato è stato portato a casa».

Ha rivendicato il pragmatismo del confronto

Non amiamo l’estetica del conflitto come altri hanno fatto. Fare una battaglia di nicchia, come opporsi all’area vasta e restare fermi solo sulla richiesta di non spostare la centrale operativa rivendicando un risultato che non sarebbe arrivato, ci avrebbe fatto prendere qualche applauso in più, ma l’obiettivo era un altro: tenere alto il tono delle eccellenze che Piacenza ha maturato. Oggi i fatti sono arrivati e non abbiamo più bisogno di fare battaglie. Le faremo, se e quando gli accordi presi non venissero rispettati»

«Salvo un pezzo di storia – Soddisfatto Paolo Rebecchi (Anpas). «Che dire? La vittoria principale sta tutta in una frase “L’Ausl di Piacenza non prevede di smantellare la funzione di centrale operativa” era questo il punto essenziale delle nostre battaglie, un pezzo di storia che abbiamo difeso e che ha visto l’attenzione delle istituzioni, il Comune e anche la Provincia.

La nostra preoccupazione, rispetto al progetto della Regione, riguardava il timore che tutto il sistema costruito qui venisse meno e il problema non era dove “cadeva” la telefonata, era in gioco il modello del soccorso. Ora il risultato ottenuto è importante».

Parole positive anche dagli altri protagonisti del confronto. Da Marilena Califano del Comitato del 118. Dopo due anni di campagna di sostegno in questi due giorni si è avuta un’accelerazione e questo, naturalmente, ci è molto gradito. Una lotta lunga che però non è mai stata strumentale. Ha messo in evidenza.

Il nostro Comitato ritiene importante il risultato portato a termine in riferimento alla C. O. 118 di Piacenza, in una situazione in cui tutto ci appariva senza certezze. Le ultime ore, che hanno portato alla sigla dei tre documenti, per noi rappresentano un punto cruciale per la salvaguardia di una storia che ha permesso a Piacenza di avere un’eccellenza nel proprio territorio a servizio di tutti i cittadini. (…). Ci dispiace apprendere che qualcuno si possa sentire escluso da questo obbiettivo (…). Crediamo sia molto importante far chiarezza, in riferimento a quanto si è davvero mantenuto. Non ci stiamo a veder minimizzato un lavoro di circa due anni. Crediamo che comportamenti di un certo tipo non abbattono qualcuno, ma feriscono tutti. (…) Se c’era chi sapeva o poteva far meglio, sarebbe stato il caso che lo avesse fatto prima. (…)

Infine Renato Zurla che, a nome della Croce Rossa ha ringraziato per il risultato ottimo in cui il “sistema Piacenza” ha pagato. Ha ricordato come già una decina di anni fa il sistema piacentino dell’emergenza e dell’urgenza fu riconosciuto come specificità dalla Regione e in particolare – ha messo in rilievo – la Regione ha sempre creduto nello stretto rapporto tra il pubblico e il sistema del volontariato. Quello che funziona a Piacenza è un esempio per tutta la Regione. Ora non resta che dare concretezza a quanto sottoscritto.

Documenti tecnici – Accanto al documento di impegno politico ne sono stati siglati altri due di carattere tecnico, uno sottoscritto dai tre direttori generali delle Ausl di Piacenza, Parma e Reggio Emilia sulla valorizzazione dei professionisti dell’azienda nel sistema territoriale e un altro tra la direzione dell’Ausl, Anpas e Croce Rossa sulle opportunità organizzative e di valorizzazione dei professionisti dell’azienda di Piacenza nel sistema territoriale.

118 documento

E l’incipit di questo documento è chiaro «L’assegnazione a Piacenza del ruolo di coordinamento del Comitato di direzione e controllo di attività di centrale 118 deriva dal fatto che Piacenza, anche per la sua natura di azienda territoriale con la gestione diretta degli ospedali di riferimento, risulta avere una consolidatas epserienza digestione unitaria della fase della chiamata e attivazione del soccorso territoriale e di accesso all’ospedale secondi percorsi clinici definiti».

fonte: Libertà

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politica
Verso il congresso provinciale del PD di Piacenza

Antonio Gramsci odiava gli indifferenti, io aggiungo i massimalisti. E penso al Partito Democratico in generale e al prossimo Congresso provinciale del PD di Piacenza.

Disimpegno e intransigenza sono, su versanti opposti, un problema per la politica e così, tra un elettorato in libera uscita, un astensionismo al suo massimo e le bizze di una classe dirigente che sembra più attenta a questioni regolamentari e a posizionamenti che al numero di disoccupati senza prospettive, eccoci a considerare un partito che sulle polarità in perenne conflitto sta consumando la sua esistenza.

Noi qui, attori e un po’ complici di uno spettacolo indegno delle tradizioni storiche e politiche che del PD costituiscono la nervatura.

Tutti a vedere nelle correnti il male assoluto ma pochissimi disposti ad ammettere che il vero anello debole sono quei soggetti incapaci di trovare un punto di caduta condiviso tra le diverse sensibilità, gli arroccati sul pregiudizio, quelli che trasformano l’elaborazione in scontro ideologico o generazionale: i “taliban” insomma; ogni area ha i suoi.

È un dato che la produzione di idee nel partito sia stata lasciata a un numero sempre maggiore di teorici (o presunti tali) finendo col rinunciare al contributo vitale della “forza lavoro”, di quella base ormai relegata ad attaccare manifesti, fare banchetti o cuocere spiedini sulle feste ma che dimostra spesso di arrivare al nocciolo delle questioni prima e meglio di tanti notabili. Frustrata nel senso di appartenenza e poco ascoltata.

Questa assenza progressiva di partecipazione e condivisione ha cristallizzato le posizioni di minoranze al potere, sempre meno capaci di una discussione realmente costruttiva, sempre più interessate alle rendite di posizione.

Bisogna opporsi con forza all’idea di chiudersi al cambiamento, a chi considera il partito in senso ristretto, elitario. Il caparbio presidio della solita “mattonella” è fuori dal tempo e genera immobilismo, tanto in chiave politica quanto amministrativa.

Ugualmente però sarebbe sbagliato pensare che la soluzione stia nel fare tabula rasa di tutto, perchè il nuovismo acritico, che “getta il bambino con l’acqua sporca”, segna il continuo ritorno a un punto zero, altrettanto inefficace e dannoso.

Per questi motivi penso che la rivoluzione tra noi democratici sarà/sarebbe riuscire ad affrancarci da queste due interpretazioni radicali e declinare un vero percorso riformista, finalmente di contenuto e non solo di facciata.

Hai detto niente? Essere riformisti oggi significa esporsi alle critiche delle ali più estreme e all’ostilità di chi si muove un po’ più gattopardescamente.

Il vero riformismo non è autoreferenziale. Chiede quel senso di responsabilità e quello spirito di squadra cui altri si possono sottrarre, perchè è più facile distruggere che costruire, dividere che unire, contrapporsi che dialogare.

Parla al popolo senza essere populista; guarda al futuro e affronta i temi nella loro complessità, senza subordinare le singole prese di posizione sulla base del consenso immediato.

Per me questo deve essere il Partito Democratico e in proposito mi auguro che si smetta di filosofeggiare e si affronti il percorso congressuale in modo rapido e alla luce del sole.

So di chi auspica una figura tanto autorevole da mettere tutti d’accordo, dimenticando forse che abbiamo dovuto congelare un segretario uscente per non essere riusciti a convergere su un traghettatore per due o tre mesi; sento e leggo di chi non vuole parlare di nomi, perché prima verrebbe la sostanza.

Ecco, a tal proposito, non fingiamo di ignorare che chi vive il PD – ovunque – conosce a menadito le posizioni in campo, chi le rappresenta e chi le sostiene. Evitiamo le ipocrisie allora e cominciamo a farli, questi nomi: tanto – stringi, stringi – è lì che dobbiamo arrivare.

L’importante è che conservatori, riformisti, rottamatori e compagnia bella presentino candidature di alto profilo, se ne hanno. Persone capaci, credibili e al di sopra di ogni sospetto, degne di rappresentare tutto il partito una volta elette; moderate il giusto per sostenere la propria linea solo in virtù della sua forza intrinseca, pronti ad arricchirla mediando con gli altri punti di vista.

Servono visioni alternative basate sulla legittimazione reciproca, in grado di contrapporsi senza farsi la guerra ma indisponibili a patti di non belligeranza poco nobili.

Sbrighiamoci a risolvere queste “beghe” interne, perchè i temi davvero importanti sono altri: stanno fuori, in mezzo alla gente e la nostra missione è affrontarli e dare risposte concrete e risolutive.

Tutto il resto è accessorio.