VOLONTARIATO. Lettera aperta di un innamorato critico
Il 5 dicembre, da quasi 30 anni, si festeggia la giornata internazionale del volontariato.
Occasione giusta e doverosa per dare risalto al valore dell’impegno di migliaia di persone che si dedicano agli altri ma, altrettanto, momento opportuno per tirare qualche somma.
Viviamo tempi poco compatibili con le auto celebrazioni e d’altronde lo spirito autentico del volontario é quello di leggere bisogni e proporre soluzioni, non certo di compiacersi.
Ecco quindi che, dopo decenni di forte crescita, mi sembra onesto augurare l’apertura di una stagione di “nuovo rinascimento”, in cui pensare in modo lucido alle sfide del futuro e a come interpretarle al meglio.
Pochi giorni fa, in occasione di un importante incontro sull’associazionismo in carcere, ho definito il terzo settore il primo garante di quella sussidiarietà tanto citata ma non sempre applicata a dovere; il motore della società, lo sguardo prospettico, la forza che più di chiunque altro osa, sperimenta, mostra agli altri con entusiasmo la luce in fondo al tunnel.
É un compito gravoso, ma rappresenta il cuore dei valori fondanti di un intero movimento. Non mettere a rendita queste peculiarità sarebbe tradire una missione e gettare alle ortiche l’opportunità di porsi come il più virtuoso tra i modelli di portatori di interesse.
Purtroppo c’é in giro, nelle istituzioni, chi ancora teme un’interlocutore con una simile presa di coscienza e non si sforza sul serio per creare opportunità e condizioni affinché questa natura sveli tutte le sue potenzialità.
Un agire pavido, arroccato, di chi é restio a misurarsi e farsi misurare e, alla forza di una controparte che ti costringe a crescere a tua volta, preferisce la debolezza di realtà spesso frammentate e in competizione tra loro, che faticano a capire fino in fondo quanto sarà più grande il bene comune fatto insieme, rispetto alle pur meritorie attività delle singole associazioni.
Su scala locale stiamo molto meglio che altrove, ma non possiamo dirci al riparo dai rischi. Non ceda dunque il volontariato al “divide et impera”, eviti le lusinghe e si concentri sulla ricerca di coesione e unità d’intenti al proprio interno.
Sia traino ed esempio di azione politica alta e irreprensibile. Si faccia sempre più coinvolgente e attrattivo, curandosi di non replicare vizi e difetti di chi negli anni ha allontanato le persone dall’azione civile.
Coltivi il ricambio generazionale, perché perpetuandosi si diventa autoreferenziali.
Il mio è l’appello di un volontario per un po’ prestato a un altro tipo di impegno. Un gesto d’amore verso quello che continuo a ritenere il mio mondo di riferimento.
Paolo VI definì la politica come “la più alta forma di carità”. Anche la carità del vero volontariato – esperto, competente, professionale come deve e sa essere oggi – può rivelarsi la più alta forma di politica.
Questo é il mio augurio. Buona festa a tutti.
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